l’angolo di don Alberto ESAGERAZIONI LITURGICHE

 
 

L’esagerazione, detta più dottamente iperbole, è un modo di dire alquanto ricorrente. Serve per sparare al massimo una dichiarazione, ovviamente da non prendersi alla lettera. Esempio, l’usuale “grazie mille”. Quando si dice così, non si sta lì a contare “grazie” mille volte. E’ un modo per esternare gratitudine sincera. L’esagerazione serve quindi per rafforzare il concetto o lo stato d’animo, come nel caso del “grazie mille”.

Anche Gesù si è lasciato andare a evidenti esagerazioni, sapendo benissimo di esagerare, ma sapendo altrettanto bene di non essere preso alla lettera. Quando ad esempio dice ai discepoli «In verità, in verità io vi dico: se chiederete qualunque cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà» (Gv 16,23), pare evidente che quel “qualunque cosa” contiene dei sottintesi (in barba alla doppia clausola veritativa[1] tipica di Giovanni).

Gesù intende tutto quello che è consono al vostro vero bene, da prendersi entro la logica del Vangelo, secondo il quale il vero bene dell’uomo è la sua santificazione. Pare scontato che se chiedo nel nome di Gesù una vincita al totocalcio, il Padre non si sente vincolato. Parimenti quando dice «siate perfetti come perfetto è il Padre vostro celeste» (Mt 5,48), l’iperbole è evidente, perché la perfezione divina è irraggiungibile da una mezza cartuccia come l’uomo.

Gesù vuole dire “spingete forte sulla vostra perfezione umana, ossia santificazione, così come Dio fa da sempre con la sua, riuscendoci perfettamente”. Aggiungiamo anche la famosa sberla da non rendersi ma da raddoppiare offrendo l’altra guancia (Mt 5,39).

Credo che anche Nostro Signore fosse dell’avviso che una sola sberla sia più che sufficiente. L’esagerazione elevata sino al paradosso è un’esortazione a non restituire.

Insomma tocca al buon senso del lettore dare il giusto taglio a certe affermazioni e indicazioni evangeliche, senza minimizzare naturalmente, ma senza andare in depressione perché gli sembrano irrealizzabili.

Il gusto per l’esagerazione si travasa pure nella liturgia romana (la nostra) non sempre così apatica come la si gabba dagli studiosi. Mi viene ora voglia di visitare passi del Messale in cui il gusto per l’esagerazione è marcato. Sono passi ricorrenti, di uso assai comune nella celebrazione eucaristica, nei quali forse l’utente, celebrante o semplice fedele, non coglie immediatamente l’esagerazione.

Un esagerazione liturgica molto popolare la cogliamo nel Confesso a Dio onnipotente, quando diciamo ho molto peccato in pensieri, parole, opere e omissioni.

Non tutti hanno effettivamente “molto peccato”. Mica tutti quello che dicono il Confesso sono dei Barabba!  Questa esagerazione vuol dire che qualunque peccato, anche minimo, per il solo fatto di essere peccato, è di troppo. Ciò non deve farci venire gli scrupoli di coscienza, essendo molto meglio rimanere nel buon senso e nella ragionevolezza, dando il giusto peso alle cose.

Alcune esagerazioni liturgiche si scatenano sotto la suggestione delle ultime consegne di Gesù agli apostoli «fate miei discepoli tutti i popoli» (Mt 28,19). Da questa evangelizzazione planetaria siamo ancora ben lontani. Nella storia della Chiesa si registrano avanzamenti e battute di arresto sul fronte missionario: il nord Africa, tutto cristiano nei primi secoli della nostra era, dopo il 622 è finito fra le braccia di Maometto che lo bamboleggia ancora, più o meno affettuosamente. Eppure la liturgia nei prefazi pasquali non esita a squillare nella pienezza della gioia pasquale l’umanità esulta su tutta la terra.

Non pare che sia propriamente così: intanto molte etnie e culture non sanno neppure che cosa sia la Pasqua; e laddove la Pasqua è nota, mi pare che si esulti di più per una vittoria sportiva. Però nella preghiera liturgica questa avvertita e consapevole esagerazione sta bene lo stesso: si trasfigura infatti in una speranza, in un sospiroso auspicio da esprimersi con un sottinteso del tipo “come sarebbe bello se finalmente l’umanità esultasse per la gioia pasquale”. Il bello di questa dichiarazione sciabordante di gioia sta anche nel fatto che racchiude veli di tacita mestizia del tipo “come siamo ancora lontani da questa alluvionale[2] letizia planetaria …”.

Più controllata è l’esagerazione in testa alla terza Preghiera eucaristica:

continui a radunare intorno a te un popolo, che da un confine all’altro della terra offra al tuo nome il sacrificio perfetto.

E’ dello stesso genere di quella vista sopra, ma un po’ meno totalizzante. Forse è vero che il sacrificio è offerto da un confine all’altro della terra, ma restano sottintese zone planetarie fra i due estremi in cui il sacrificio non viene offerto. Quest’altra esagerazione eucaristica è clonata sotto la suggestione del profeta Malachia [3], e ritorna in pari concetto nella preghiera sulle offerte della Messa per l’evangelizzazione del popoli:

fa’ che dall’Oriente all’Occidente sia glorificato il tuo nome tra i popoli, e si offra a te l’unico perfetto sacrificio.

La menzione dei punti cardinali longitudinali (oriente e occidente) prende imbeccata, oltre che dal citato Malachia, anche dal salmo 64,9: «tu fai gridare di gioia le soglie dell’oriente e dell’occidente». Insomma ancora una volta il pianeta è coinvolto in tutta la sua estensione in questo scrosciante impeto gaudioso.

E per concludere la visita a queste esagerazioni liturgiche di marchio geografico, cito con pochi elementi di novità rispetto al già visto, il prefazio dell’Ordine sacro:

tu scegli e costituisci i dispensatori dei santi misteri, perché in ogni parte della terra sia offerto il sacrificio perfetto.

Si auspica anche qui che il sacrificio perfetto sia centellinato in ogni località della terra ferma[4].

La liturgia non si compiace soltanto di esagerazioni spaziali ma accetta pure impensabili esagerazioni cronologiche.  Tra i vari pezzi liturgici, quello emotivamente più vibrante è il prefazio, che diviene quindi patria di piacevoli esagerazioni liriche, specie nei protocolli terminali, nei quali le più o meno gracidanti ugole umane si associano alle melodiose voci angeliche prima di scrosciare il canto del Santo.

Su settanta prefazi in tredici si incontra il “cantiamo senza fine” oppure “cantiamo con voce incessante” l’inno della gloria divina. Roba da dover fare i gargarismi! L’esagerazione è vistosa. Anche i Sanctus polifonici musicalmente più elaborati durano solo qualche minuto: ben lontani dunque dal travaso nell’eternità, come dicono le civetterie liturgiche sopra ricordate.

E’ un’esagerazione che non disturba, perché denota l’intenzione che quella polifonia umano-angelica possa un giorno risuonare in eterno. E’ dunque una sorta di atto di speranza – quella vera avente in contenuto l’eternità –, non semplicemente recitato come la nota preghiera catechistica, ma addirittura cantato a più voci, per giunta angelicamente sintonizzate. Non c’è nulla di esagerato nell’immaginare eterno il canto paradisiaco: certo è una proiezione umana sul divino che non riusciamo altrimenti a immaginare.

L’esagerazione sta nel dichiarare incessante il canto che facciamo nel corso della liturgia che in realtà, come tutto ciò che è fatto dall’uomo, ha un inizio nel tempo e una conclusione nel tempo.

Un’altra forma di esagerazione, affettuosamente praticata dalla liturgia, è quella di gabbare per certo l’incerto, come capita alla conclusione di una preghiera eucaristica:

Allora nella creazione nuova, finalmente liberata dalla morte, canteremo l’inno di ringraziamento che sale a te dal tuo Cristo vivente in eterno.

Ciò avverrà se tutto andrà per il meglio, ma non si deve perdere di vista con faciloneria l’eventualità che invece di cantare l’inno di ringraziamento si sprofondi nell’abisso a bestemmiare insieme a satanasso! (quod Deus avertat = Dio ce lo eviti).

Mons. Alberto Albertazzi

[1] In verità, in verità.

[2] La traduzione 1973 rendeva “inondata di gioia l’umanità esulta su tutta la terra” il latino profusis paschalibus gaudiis.

[3] «… in ogni luogo si brucia incenso al mio nome e si fanno offerte pure, perché grande è il mio nome fra le nazioni» (Ml 1,11).

[4] San Paolo sembra averlo celebrato anche in barca At 27,35. Patriarca dei cappellani da crociera!