Solennità dell’Ascensione

 
 

A cura della Fraternità della Trasfigurazione

La solennità dell’Ascensione più che riferirsi a un episodio specifico della vita del Signore esprime una sfaccettatura del mistero pasquale. Gesù si sottrae a una modalità relazionale che ha caratterizzato la sua presenza in mezzo ai discepoli nel periodo immediatamente successivo la risurrezione: una modalità in cui la sua corporeità, benché non soggetta ai limiti della materia, aveva un ruolo importante all’interno del nuovo legame che si era creato; essi, infatti, potevano vederlo, toccarlo, offrirgli da mangiare. Ora, invece, egli viene “elevato in cielo” dove siede alla destra di Dio: un’espressione con cui si vuole esprimere l’esaltazione di Gesù da parte del Padre e la sua signoria sul mondo. Tale cambiamento, tuttavia, non sancisce la rottura di un legame; al contrario il testo, che non appartiene a Marco ma costituisce comunque un’importante testimonianza della Chiesa degli inizi, descrive un’autentica collaborazione fra i discepoli e il Signore che agisce con loro e conferma la parola con i segni che la accompagnano. “Beati quelli che non hanno visto e hanno creduto” (Gv 20,29) aveva detto Gesù a Tommaso ed ecco che ora si apre questo tempo di beatitudine in cui ogni distanza tra la terra e il cielo è superata e ogni confine abbattuto; il mondo di Dio e quello degli uomini non costituiscono più due entità separate poiché un uomo, uno di noi, abita i cieli e nello stesso tempo opera insieme a noi. Ciò che era iniziato al momento dell’incarnazione oggi si realizza pienamente. Non è tuttavia solo lui che collabora con i suoi, ma sono anche – o soprattutto – i discepoli a portare in questo mondo una ventata di novità assoluta che proviene dal cielo. Prima di scomparire totalmente dalla loro percezione, infatti, Gesù parla agli Undici invitandoli ad andare in tutto il mondo e annunciare il Vangelo a ogni creatura. C’è un messaggio che deve raggiungere tutti e non è costituito da parole d’uomo ma è la buona notizia che proviene da Dio. E’, dunque, una “parola di vita”, come scrive il libro degli Atti degli Apostoli (At 5,20), quella da loro annunciata, seguita da una serie di azioni che la confermano. Il testo elenca qui una successione di situazioni che i credenti si troveranno ad affrontare: situazioni di pericolo o di estraneità da cui non dovranno fuggire, perché la fede darà loro la forza di resistere e di trasformarle in bene. Così, per esempio, non avranno paura di sfidare ciò che, come i serpenti o il veleno, costituisce un pericolo mortale ma, al contrario, sarà data loro quella parola sicura e ricca di speranza che li renderà capaci di scacciare le tenebre presenti nei cuori. Con il loro agire porteranno la guarigione e il loro linguaggio sarà nuovo perché capace di abbattere ogni distanza, di farsi comprendere e parlare al cuore di tutti. È una Chiesa vivace e creativa quella che ci mostra la pagina del Vangelo odierno, una Chiesa che opera in sinergia con il suo Signore e offre, grazie al battesimo, il dono della figliolanza divina a coloro che sono disposti a credere in Gesù. È una Chiesa che compie azioni più che mai necessarie oggigiorno: il mondo circostante, infatti, ci domanda di imparare nuovi linguaggi capaci di far nascere nei cuori il desiderio di quel cielo dove il Signore è stato assunto, un cielo che sembra scomparso dal nostro orizzonte; esso ci chiede anche di liberarlo dal male: il male dell’odio, della violenza, degli individualismi esasperati, della superficialità e di tutto quanto mantiene il cuore nelle tenebre, dove i nostri pensieri angosciosi non ci permettono di accedere alla luminosa presenza dello Spirito che abita in noi. Lasciamoci allora attrarre dallo stimolante invito a collaborare con il Risorto, accogliendo come un dono l’invito a proclamare la sua Parola.