XXV domenica tempo ordinario Mt 20,1-16

Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? .
 
 
Oppure tu sei invidioso perché io sono buono? .

La logica di Dio è quella di un cuore che ama –

a cura di Mons. Alberto Albertazzi – alberipazzi@gmail.com –

 

Le correnti domeniche sfoggiano parabole esclusive di Matteo. Quella della volta scorsa era dominata da un’evangelica legge del contrappasso, che concludeva col pari trattamento di due situazioni analoghe. Questa domenica, invece, abbiamo a confronto due logiche inconciliabili che prospettano pari trattamento per diverse situazioni. La logica divina, per fortuna di tutti, non funziona come quella umana. Il padrone della vigna al secondo reclutamento non si sbottona, ma si limita a dire «quello che è giusto, ve lo darò». Gli ultimi fanno venire in mente gli odierni rassegnati, che non vanno neppure in cerca di lavoro. Al padrone che domanda loro: «Perché ve ne state qui tutto il giorno senza far niente?», rispondono: «Perché nessuno ci ha presi a giornata». Non sembrano neppure dispiaciuti del loro stare in panciolle, ma si adattano ad andare anch’essi nella vigna. Ci sarebbe stata bene un’apologia della pigrizia, ma ci ha già pensato Russell nel suo Elogio dell’ozio! Comunque si adattano anche loro a fare i vignaioli per un frammento di giornata.

A fine lavori la retribuzione avviene a sorpresa, un po’ come se il padrone della vigna pregustasse una scena già programmata. Dice infatti al fattore: «Chiama i lavoratori e dai loro la paga, incominciando dagli ultimi fino ai primi». Se avesse cominciato dai primi si sarebbe perso una scena gustosa, perché questi se ne sarebbero andati col pattuito, senza fare storie. Invece cominciando dagli ultimi, lascia gongolare i primi nella presunzione di una gratifica extracontrattuale. Invece la retribuzione è uguale per tutti, in barba a ogni odierna logica sindacale. Cosa c’è di più iniquo che riservare pari trattamento a diverse situazioni? Con la nostra logica rivendicante e rigorosamente retributiva non riusciamo a dissentire dalle rimostranze dei primi assunti: «Questi ultimi hanno lavorato un’ora sola e li hai trattati come noi, che abbiamo sopportato il peso della giornata e il caldo». Ma Dio non è un sindacalista! Tutti ci siamo accorti che sotto gli abiti rusticani del padrone della vigna si nasconde Dio col suo pensiero logico, ma di una logica diversa e spiazzante: «Amico, non ti faccio torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene. Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?».  È una replica che merita di essere meditata nei singoli segmenti.

Innanzitutto il padrone replica in recto che non fa torto al brontolone, e ne spiega il motivo. I patti con lui sono rispettati, quindi fuori dai piedi: «Vattene». E poi: «Non posso fare delle mie cose quello che voglio?». La risposta non può che essere: certamente!  E aggiunge: «Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?». Il greco è più suggestivo ed efficace: ciò che è reso con invidioso recita in realtà «il tuo occhio è malvagio», inasprendo la contrapposizione fra la grettezza del frignante e la liberalità del padrone che si autoqualifica buono, con pieno diritto. Tra bontà e malvagità non ci può essere intesa né compromesso: ecco perché il querimonioso operaio viene spedito senza tentare di ravvederlo; ancora quel «vattene» deciso e per nulla conciliante. Sembra dire “è inutile perdere tempo con uno come te …”.
Grandeggia dunque l’immagine della sovrana generosità divina, larga di valori aggiunti, che quando si tratta di retribuzione non computa col bilancino del farmacista.

Ritorniamo ai secondi reclutati, quelli delle nove del mattino, ai quali il padrone promette genericamente «quello che è giusto». Secondo Dio, dunque, sarebbe giusta pari retribuzione a differenti orari di lavoro. La nostra logica arranca. Forse Dio, più che alla quantità del lavoro, bada alla qualità; e, trattandosi in definitiva di inviti paludati di vocazione, non perde di vista la qualità interiore della risposta, secondo un teorema già squillato nell’Antico Testamento: «L’uomo vede l’apparenza, ma il Signore vede il cuore» (1 Sam 16,7). O forse Dio risarcisce con la sua grazia quanti hanno una vita insulsa e poco gratificante, come sembrano suggerire quelli che sono rimasti lì “tutto il giorno senza far niente”. Questi da me fatti sono tentativi patetici per accordare il pensiero divino al pensiero umano. Per non smentirmi sta bene una conclusione dantesca: «Or tu chi se’, che vuoi sedere a scranna, / per giudicar di lungi mille miglia / con la veduta corta d’una spanna?» (Paradiso XIX  79-81).