quinta domenica di quaresima Gv 11,1-45

 
 

– Il raccordo tra risurrezione e fede –

a cura di Mons. Alberto Albertazzi – alberipazzi@gmail.com –

Non ci si deve lamentare di eventuali lentezze del 118, perché Gesù ha impiegato due giorni prima di attivarsi in un’azione di soccorso! Lo si legge questa domenica. Gli giunge la notizia della malattia di un amico, Lazzaro, e invece di partire di corsa si sofferma a pronunciare una curiosa diagnosi: «Questa malattia non porterà alla morte, ma è per la gloria di Dio, affinché per mezzo di essa il Figlio di Dio sia glorificato». È la stessa faccenda del cieco di domenica scorsa: cieco non per cataratta ma per divenire campo d’azione divina. Gesù, questa volta con calcolato cinismo, se la prende comoda e prima di alzare i tacchi nella giusta direzione, si ferma ancora due giorni, poi parte alla volta di Betania, ove si trovava il morente: giusto il tempo di lasciarlo morire!
La gloria di Dio poteva scintillare anche nella guarigione miracolosa di una malattia che resta peraltro ignota, ma sembra che Gesù voglia dare una suprema prova di forza, dimostrandosi capace di richiamare in vita un morto. Intendiamoci bene: non lo fa per strappare applausi, non era di certo il tipo, ma per avere intuito la circostanza come favorevole al discorso sulla risurrezione. Se poi sarebbe toccata a lui, perché non cominciare a parlarne? Gesù si decide a partire, ma gli viene ricordata qualche minaccia. Poco prima in Giudea aveva rischiato la pelle da parte dei Giudei (Gv 8,59); Gesù non ci fa caso e parte a muso duro, confortato da una spacconata del solito Tommaso: «Andiamo anche noi a morire con lui!».
Il defunto Lazzaro aveva due sorelle, Marta e Maria, che diventano una dopo l’altra interlocutrici di Gesù. La prima, alla notizia del suo arrivo gli corre incontro e si cimenta con un temperato rimprovero: «Signore, se tu fossi stato qui, mio fratello non sarebbe morto!». Non si può dire che come benvenuto sia stato particolarmente cordiale. È un po’ come se avesse detto: “Bell’amico che sei!”.  Però aggiunge subito con un vittorioso soprassalto di fede: «Ma anche ora so che qualunque cosa tu chiederai a Dio, Dio te la concederà». Come a dire: “È morto ma non importa. Tu ce la puoi fare lo stesso”. La risposta di Gesù è solenne: «Tuo fratello risorgerà». E Marta dà una risposta catechistica di marchio farisaico, in senso buono: i farisei infatti ammettevano la risurrezione, di cui l’Antico Testamento fornisce avvisaglie (Dn 12,1): «So che risorgerà nella risurrezione dell’ultimo giorno».

Mancava solo che dicesse: “Bella consolazione!”. E Gesù rilascia una dichiarazione persino più maestosa che solenne: «Io sono la risurrezione e la vita». È il più gigantesco  «io sono» tra i vari che punteggiano il vangelo di Giovanni: «io sono il pane vivo disceso dal cielo», «io sono la porta dell’ovile», «io sono il buon pastore», «io sono via, verità e vita», ecc. Ma Gesù non si limita a questo e aggiunge immediatamente: «Chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno. Credi tu questo?». Con questa domanda Gesù offre un trampolino di lancio per una professione di fede che si aggiunge ad altre nello stesso vangelo (1,49; 6,68-69): «Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui che viene nel mondo».
Entra poi in scena la sorella, Maria, anche lei in fotocopia con quel “rispettoso” rimprovero: verrebbe quasi da pensare che fossero gemelle!  Ormai il procedimento verso il miracolo è attivato irreversibilmente e viene descritto con scenografia spettrale. Dopo che Gesù ha verbalizzato un grato pensiero al Padre, sempre in ascolto del Figlio, con voce risonante nella tomba, ordina: «Lazzaro, vieni fuori!». E il defunto, non più tale, esce ancora col suo abbigliamento funebre: sudario, e mani e piedi legati con bende. E deve essersi rimesso velocemente in buona salute se poco dopo lo troviamo a tavola con Gesù e altri (Gv 12,1-2).
Ma si tratta di una risurrezione per modo di dire, ancora prepasquale, simile ad altre operate da Gesù (Mc 5,41-42; Lc 7,14-16) e da profeti dell’Antico Testamento (1Re 17,17-24; 2Re 4,32-37): gli interessati sono poi rimorti definitivamente, in attesa della risurrezione dell’ultimo giorno, come correttamente precisato da Marta. Ma nella narrazione della risurrezione di Lazzaro abbiamo, più che in altre, l’anteprima della risurrezione di Gesù e il marcato raccordo fra risurrezione e fede.