III domenica di Avvento Mt 11,2-11

 
 

– Il Battista: l’umiltà della sequela  –

a cura di Mons. Alberto Albertazzi –

Chi tiene il campo nelle due domeniche centrali dell’avvento (II e III) è Giovanni Battista. Nella seconda parla e agisce, nella terza di lui si parla. Giovanni è in galera per avere eccepito contro una certa disinvoltura matrimoniale di Erode.

Anche se al re giungevano poche notizie, di Gesù qualcosa aveva sentito e gli manda i suoi discepoli per accertamenti: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?».  La domanda così formulata per noi non è chiarissima, ma da quelle parti doveva essere una domanda non così strampalata.

I predicatori del mese di maggio dicevano generosamente che tutte le fanciulle di Israele speravano di poter essere loro la madre del Messia in arrivo! Quindi «colui che deve venire» non poteva essere che il Messia. Gesù non risponde direttamente, ma rinvia ai miracoli che sta compiendo: erano la cartina di tornasole della sua autenticità messianica, in quanto congrui con un mirato oracolo di Isaia (35,5-6). In Luca (7,21) addirittura i miracoli li fa sul momento per essere più convincente.
L’intervento indiretto di Giovanni è troppo ghiotto per non intrattenere il pubblico con domande che lo riguardano. «Che cosa siete andati a vedere nel deserto?», chiede Gesù, e ipotizza varie curiosità: «Una canna sbattuta dal vento?». Come dire: siete andati a perdere tempo. Una cosa così banale, potete vederla anche a casa vostra. Un “elegantone?”. Avete sbagliato strada, perché i damerini li trovate nei palazzi dei re. Finalmente, dopo questa marcia di avvicinamento a colpi di punti interrogativi, Gesù accalappia il vero motivo di quell’accorrere in massa e dice: «Un profeta? Sì io vi dico, anzi più di un profeta. Egli è colui del quale sta scritto: “Ecco, dinanzi a me io mando il mio messaggero”» (vedi vangelo di domenica scorsa).
Giovanni viene dunque proclamato autorevolmente “super-profeta”. E Gesù pronuncia la massima onorificenza di Giovanni Battista: «Fra i nati di donna non è sorto uno più grande di Giovanni il Battista». Non sappiamo se all’interessato sia giunta notizia di così eccelso apprezzamento. Se sì, avrebbe avuto buone ragioni per saltare di gioia, per quanto la sua austera e rocciosa umiltà lo consentisse. Ma ecco subito l’inatteso ridimensionamento: «… ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui». Gesù si permette di bluffare affettuosamente su Giovanni! In questo modo Giovanni viene classificato come ultimo grande uomo dell’Antico Testamento.
Esiste un dislivello incolmabile fra l’umanità dell’Antico Testamento e quella del Nuovo che cominciava ad affollarsi di «piccoli nel regno dei cieli». Piccoli del regno dei cieli sono quanti accettano Gesù, si riconoscono nella sua dottrina, condividendone la sorprendente logica. Gesù non perde occasione per enunciare i suoi gusti e le sue spiazzanti preferenze, in definitiva per gli insignificanti secondo le valutazioni umane sempre un po’ pacchianotte.

Più avanti (20,26-28), bacchettando i discepoli che sgomitavano per il primato all’interno della combriccola, Gesù enuncia il genuino criterio di grandezza: l’accettazione dell’ultimo posto. A Lui, più che il successo e l’appariscenza, interessa quello che c’è nel cuore dell’uomo, la cui interiorità riesce a esplorare con acutissima radiografia soprannaturale (cfr Gv 2,25).

Tanto che negli Atti degli Apostoli Dio (non si dimentichi che Gesù ne è il Figlio) per due volte (1,24; 15,8) viene aggettivato con voce greca kardioghnostes, ossia abissale conoscitore dei cuori (cfr. sal 63,7).