II domenica di Pasqua Gv 20,19-31

 
 

Dobbiamo avere fiducia in Dio –

a cura di Don Gian Franco Brusa –

In questa domenica che segue la risurrezione di Cristo, la liturgia ci mantiene nel clima pasquale conservando il tono di gioia e di esultanza. È la domenica della Divina Misericordia.

La pagina evangelica presenta il racconto di due apparizioni che hanno particolare importanza per le rivelazioni fatte dal Risorto. La prima avviene la sera stessa di Pasqua, nella casa in cui i discepoli si sono rintanati a porte chiuse, per timore dei Giudei. Il Signore compare improvvisamente in mezzo a loro suscitando spavento, perché credono di trovarsi davanti un fantasma. Sono ancora ben lontani dal pensare alla presenza del loro Maestro e non lo riconoscono. Gesù provvede a rivelarsi e a convincerli che è proprio Lui. Si introduce dapprima con l’augurio della pace, poi mostra le mani con il segno dei chiodi e il costato con la ferita causata dalla lancia, suscitando la gioia degli apostoli. Poi ribadisce: «Pace a voi» (Gv 20,21). Questa espressione contiene non soltanto un saluto e un augurio, ma il dono della pace vera. Infatti i presenti passano dalla paura alla sicurezza, dalla tristezza alla serenità; il cuore dei discepoli è inondato da una gioia profonda.

La pace è dono di Dio. La pace tra cielo e terra, sigillata con il sangue di Gesù, è frutto della sua passione. Egli ce l’ha meritata e, non appena risorto, la porta in dono agli apostoli e l’affida loro perché la trasmettano, con il vangelo, alle generazioni future. Recuperato il clima di serenità e di pace, i discepoli sono ben disposti ad accettare gli altri doni che il Risorto vuole affidare alla Chiesa. «Come il Padre ha mandato me, io mando voi» (Gv 20,21). Con la sua morte si è compiuta la missione terrena, ma non si è conclusa la sua opera di redenzione e di salvezza, che deve continuare ad estendersi a tutto il mondo. Il mandato passa da Cristo alla Chiesa, dunque ad ogni cristiano, che diventa, nel mondo missionario, portatore dell’Amore di Dio.

A questo punto il discorso del Signore si interrompe con un gesto misterioso: si china e soffia sui presenti lo Spirito Santo, realizzando così la promessa di non lasciarli soli. La Chiesa, ricevendo lo Spirito divino, trova l’anima che unisce i credenti a Cristo e può essere il corpo vivo di cui Cristo è il capo. Egli conferisce anche il dono di rimettere i peccati e di amministrare la misericordia del Padre.

Alla prima apparizione manca Tommaso, il quale rimane incredulo di fronte alla testimonianza degli altri apostoli. Otto giorni dopo, il Signore si manifesta nuovamente nel medesimo luogo e, dopo l’augurio di pace, si rivolge a lui, invitandolo a mettere la mano al posto dei chiodi e nel costato aperto e lo esorta a non essere più incredulo ma credente. Tommaso, con sincera umiltà, si getta ai piedi del Maestro esclamando: «Mio Signore e mio Dio!» (Gv 20,28). Un’autentica professione di fede e d’amore. C’è per tutti una preziosa lezione nelle parole che Gesù pronuncia a conclusione del colloquio con il discepolo: «Perché mi hai veduto, tu hai creduto; beati quelli che non hanno visto e hanno creduto» (Gv 20,29). Questa beatitudine è diretta a noi che recitiamo con fede il nostro Credo. Tante volte siamo tentati, come l’apostolo, di cred ere solo toccando con mano. La nostra fede, se ben radicata in Cristo, deve farci superare i momenti di debolezza e di sconforto. Essa è un dono di Dio e nessuno può conquistarla se non è illuminato dalla grazia.

Chiediamo, allora, il dono della Misericordia del Signore e la grazia di accrescere la nostra fede affinché, come Tommaso, anche noi, con grande umiltà, possiamo proclamare sempre l’atto di amore verso il Risorto: «Mio Signore e mio Dio!».

Buona domenica