Iª domenica di Avvento Lc 21,25-28.34-36

 
 

Vegliamo sulla bellezza della nostra vita –

a cura di Don Luciano Condina –

Questa settimana diamo il nostro più cordiale benvenuto a don Luciano Condina, sacerdote di fresca ordinazione (29 settembre), che attualmente collabora a livello pastorale nella comunità Vercelli Ovest, occupandosi in particolare della parrocchia N.S. di Lourdes al rione Concordia, e vive la fraternità con don Mauro Rizzi alla Regina Pacis.

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Cari lettori, con gioia e non poco timore, accolgo l’invito di commentare settimanalmente la parola di Dio della domenica. Non sono un biblista e sono l’ultimo arrivato nella fraternità presbiterale eusebiana, avendo appena un paio di mesi di sacerdozio alle spalle. Non mi ritengo uno scrittore e amo spesso usare un tono colloquiale che non disdegna l’ironia.

I livelli di lettura e contestualizzazione di un brano biblico possono essere molteplici e, riguardo al vangelo di questa domenica, ad esempio, sono almeno quattro. Infatti, gli eventi apocalittici narrati da Gesù possono riguardare: gli ultimi tempi; la descrizione della sua morte sul Golgota; la distruzione di Gerusalemme; la vita di chi legge in qualunque epoca storica.

Proprio quest’ultimo punto terrò particolarmente a cuore nel commentare la Parola, in quanto lo scopo principale sarà quello di cogliere nella Scrittura il senso normativo per la fede e per la vita, perdendo di vista il quale si rischia un semplice approccio culturale, troppo povero per vedere e toccare il sacro che pervade la letteratura biblica. La Parola ha il potere di far «ardere il cuore in petto» – per citare i discepoli di Emmaus (Lc 24,32) – e ciò avviene quando riusciamo a scorgere in essa una chiara corrispondenza con la nostra vita.

Nel testo della liturgia di questa domenica emerge il tema della fine delle cose, del tendere verso un momento conclusivo della storia, che ha una sua linearità dall’Avvento che precede la nascita di Gesù all’Avvento in vista della sua venuta alla fine dei tempi. È questa fine, questo termine, a illuminare il nostro percorso, perché spesso è solo quando comprendiamo come termina una cosa – e dove va a parare – che può avvenire il cambio radicale nel modo di leggerne l’esistenza.

L’immagine degli astri che vengono stravolti e l’angoscia di molti popoli in ansia sono temi già toccati nella liturgia di due settimane fa. Gli astri, per gli antichi, erano il punto di riferimento per misurare il tempo, sia di giorno che di notte. Non essendoci clessidre “da polso”, le ore della giornata venivano desunte basandosi sugli astri. Il loro stravolgimento indica la perdita dei punti di riferimento. Prima che il Signore faccia irruzione nella nostra vita, è spesso necessario che vengano sconvolti i punti di riferimento che fino a quel punto sono stati guide – forse illusorie – dunque idoli, sul nostro cammino. L’arrivo del Signore è preceduto dal momento della crisi, è il momento in cui Egli viene a riprendere possesso di ciò che è suo dopo che i padroni non autentici – gli astri sconvolti – sono stati deposti dal loro trono.

Perché entri Gesù nei cuori è necessario fargli spazio.Il cuore è il profondo del nostro essere, il luogo dove Dio parla; ed è cosa meravigliosa vivere sintonizzati con questo “muscolo spirituale”. Il cuore non è da concepirsi come “sede affettiva” secondo il senso comune, bensì come centro dell’uomo, il suo luogo segreto. Si può “perdere il cuore”? Sì, nell’essere intontiti – cioè dei tonti – per dissipazioni, ubriachezze e affanni della vita, dice Gesù. E spiega quale dev’essere l’attitudine del discepolo di fronte alle promesse che si compiono: guardarsi dalle tre cose da Lui citate chiaramente.

Le dissipazioni non sono semplicemente situazioni in cui ci si perde negli eccessi; significa disunirsi rispetto alla propria verità, trattarsi secondo una ricchezza seconda, stare perennemente su cose superficiali, stupidaggini che trattano vanità da quattro soldi, che non sono la nostra verità, la nostra autenticità.

Le ubriachezze non riguardano solo chi fa abuso di alcool… affatto! Tutti quanti siamo toccati da queste che altro non sono se non peccato di gola, ossia l’attitudine ad attirare perennemente a sé il benessere. La gola non è semplicemente il peccato di chi si ingozza, bensì di colui che pensa ossessivamente al proprio benessere. In quest’ottica, anche una dieta ossessiva può essere gola; rifiutare il cibo che ci è stato preparato diventa peccato di gola, se vissuto con l’ansia di veder apparire quel filo di grasso in più che fa perdere senso alla propria esistenza. La gola tocca i cinque sensi.

Non è vero che «la salute è tutto»: la Salvezza è tutto! E ce lo ricordano nostri (futuri) santi contemporanei: Chiara Corbella, Chiara Badano, Carlo Acutis…

Saper amare è tutto.

E un altro valore è assolutamente imprescindibile nella vita cristiana: il digiuno – il colore viola nella liturgia ce lo ricorda, insieme con l’attesa – che è qualcosa di molto più profondo dell’astensione da un pasto.

Entrare nell’Avvento, significa innestarsi in un tempo di sobrietà, lucidità, attesa di qualcuno, perché non ci trovi addormentati, intontiti, presi da cose futili, per cui Cristo passa e neanche ce ne accorgiamo. Abbiamo bisogno di digiuno, cioè di governare i nostri sensi, per non essere schiavi del nostro ventre, dei nostri occhi, del nostro cervello, delle nostre orecchie.Si dice che la libertà abbia fondamento nel principio di autodeterminazione, quell’attitudine per cui io mi autodetermino, mi so dire dei “no”. Se non so dirmi dei “no”, non sono più libero ma schiavo.

Il maligno oggi conquista tante prede con quattro soldi di piacevolezza e le persone perdono il cuore per due spiccioli. Come Esaù, vendutosi la primogenitura per un piatto di lenticchie.

Il Figlio dell’uomo sta arrivando, c’è un futuro davanti a noi e c’è un destino grande legato ad esso, perciò è necessario governare la nostra vita mettendo ordine per preservare amicizie, matrimoni, paternità, figliolanze, missioni, tutto ciò che rende la vita un capolavoro di bellezza.

Vegliamo sulla bellezza della nostra vita. Dice Gesù.