Dedicazione della Basilica Lateranense Gv 2,13-22

 
 

– a cura delle Clarisse di Santa Chiara in Santa Maria di Roasio –

Cristo risorto rivela il Padre –

Questa domenica si celebra la dedicazione della Chiesa Madre di Roma, la basilica Lateranense, la prima di tutte le chiese del mondo; è il primo segno esteriore e sensibile della vittoria della fede cristiana sul paganesimo occidentale. Durante l’era delle persecuzioni, nei primi tre secoli della storia della Chiesa, ogni manifestazione di fede si rivelava pericolosa e perciò i cristiani non potevano celebrare il loro Dio apertamente. La basilica del Laterano fu quindi il luogo dove finalmente i cristiani potevano adorare e celebrare pubblicamente Cristo Salvatore.

Il brano del Vangelo di Giovanni vuole proprio ridestare in tutti noi l’amore e l’attaccamento a Cristo e alla sua Chiesa, per considerare più profondamente come l’edificio di pietre sia segno tangibile del tempio spirituale, il cuore del cristiano che rende gloria a Colui che si è fatto carne e, morto e risorto, vive per sempre. L’evangelista unifica in questa pericope vari elementi della tradizione, inseriti dai sinottici in altri contesti: alla disponibilità dei discepoli, che accolsero la sua autorivelazione (v. 11), si contrappone l’incredulità dei giudei (v. 18). Il segno del tempio infatti, che dà l’avvio all’attività messianica di Gesù, inizia con il superamento delle vecchie istituzioni e concezioni religiose giudaiche, di cui la prima è l’edificio stesso. Gesù vuole trasformare la concezione di tempio (2,19), l’ambiente più sacro della presenza di Dio in Israele, sede del potere religioso e politico, presentando la sua persona come nuovo tempio, luogo in cui risplende la gloria di Dio (cfr. 1,14-17 ).

Nel tempio Gesù si imbatte con mercanti di bestiame e cambiavalute, che pensano agli interessi personali, seduti ai loro tavoli (vv. 14-15). Su compenso, forniscono ai pellegrini denaro impuro con l’effigie dell’ imperatore, con monete accettate anche per pagare la tassa annuale del tempio. Questo lucroso commercio permesso dalle autorità religiose e dallo stesso sommo sacerdote Caifa, in concorrenza con il mercato gestito dal Sinedrio nei pressi del Cedron, scatena la dura reazione di Gesù, che constata con amarezza il carattere ormai profano assunto dalla festa di Pasqua. Egli si procura un flagello di cordicelle e, senza una parola, scaccia il bestiame dal tempio, manda all’aria i tavoli di contrattazione disseminando monete sul lastricato… Un gesto decisamente messianico, che richiama i testi profetici nei quali si afferma che Dio non gradisce un culto apparente senza coinvolgimento personale, cioè senza quella reciprocità che qualifica la vera relazione con Lui.

Per questo Gesù, per la prima volta, chiama Dio suo Padre e se ne proclama Figlio. L’affermazione costituisce un dato eccezionale nella religiosità ebraica: nessun israelita avrebbe mai osato chiamare Dio Padre in senso personale, e tanto meno dirsi suo figlio. Dio era considerato “Padre del popolo” per le grandi gesta da lui compiute nella storia d’Israele. Gesù vuole invece far comprendere che se Dio è Padre, non è sufficiente onorarlo con offerte materiali.

Un monito anche per tutti noi, condizionati dall’idolo per eccellenza: il denaro, con la sua alleata, la “legge del mercato”; insieme, impongono ormai la loro supremazia in ogni ambito sociale …
E’ la risurrezione di Gesù l’evento, quello vero, che dà vita al nuovo tempio spirituale, dal quale scaturirà il vigoroso inizio di una fede nuova, senza limiti né barriere (crf. Is 56,7), perché il Corpo di Cristo risorto realizza qui e ora la presenza stessa di Dio.