1ª domenica di Quaresima Mt 4,1-11

 
 

Il tempo della prova è necessario –

a cura di Don Luciano Condina –

Con l’inizio della Quaresima – funestata dal divieto di celebrare il santo sacrificio a causa del coronavirus – leggiamo nel vangelo le tre tentazioni di Gesù nel deserto. La parola “tentazione” significa “prova”, un termine ambiguo, perché può essere inteso secondo diversi significati: “momento di difficoltà”, ma nello stesso tempo anche “momento di certezza”. Allora la tentazione è l’esperienza del passaggio dall’incertezza alla certezza; è l’esperienza di difficoltà che diventa punto di forza. È un po’ il “controllo qualità” applicato in quasi tutte le aziende. Senza la tentazione l’uomo non può sapere realmente chi è né a che punto sia nel cammino spirituale.

Il deserto invece è il contesto della solitudine, della verifica interiore: in ebraico si traduce midbar e significa «luogo dove non c’è parola». Il deserto si crea quando c’è silenzio e quando si interrompono le relazioni: da questo stato Gesù deve partire per determinare chi è. Perché l’uomo passi alla dimensione di figlio di Dio – perduta con il peccato – deve entrare nel luogo più asciutto, difficile e aspro.

Tutti i santi hanno avuto un momento di deserto: chi esteriore, chi interiore, chi breve, chi lungo; da lì, dunque, dobbiamo passare per risorgere a vita nuova, a vita piena, a vita eterna. Leggiamo infatti che Gesù «fu condotto dallo Spirito nel deserto per essere tentato dal diavolo» (Mt 4,1): è lo Spirito che ci conduce nel luogo dove capiremo chi siamo.

San Benedetto va al Sacro Speco, San Francesco alle carceri, San Paolo nel deserto di Arabia: si isolano per arrivare alla verità della loro missione, per questo compare il tentatore.

Le tre prove cui viene sottoposto Gesù sono quelle classiche soggiacenti alla storia di Israele nei quarant’anni di deserto: sono le prove per diventare popolo di Dio.

La prima riguarda la trasformazione delle pietre in pane, ciò che non è commestibile in cibo di cui nutrirsi; è vedere ogni realtà come “commestibile”, ossia appagante. È trasformare un figlio, un coniuge, un lavoro in un mezzo di realizzazione personale; quando invece un figlio è un dono ricevuto e da ridonare come figlio di Dio, il matrimonio è una missione d’amore e il lavoro è un servizio.

La seconda prova – Gesù condotto sul pinnacolo del tempio e invitato a gettarsi – riguarda la caccia di cambiamenti strepitosi, che spesso rincorriamo nella nostra vita: bramosie di vincite milionarie, ricerca dell’eclatante, ricerca del pericolo come emozione, ricerca dell’occulto, del credere che Dio stia lì ad assecondare i nostri capricci, pronto a prenderci al volo in caso di caduta, come fosse il nostro maggiordomo. Invece la vita sta nel quotidiano: nell’oggi siamo chiamati a cogliere le piccole cose che, in realtà, sono tutte grandi occasioni per amare, per cogliere le bellezze che i nostri occhi non sanno più vedere.

La terza prova è quella del potere: essere disposti a diventare schiavi per averlo. Che controsenso assurdo! Il potere, che teoricamente dovrebbe offrire libertà, invece se la prende. Pensiamo a quanti lo rincorrono e lo esercitano anche crudelmente, rinchiusi o nascosti come topi, per esempio i numerosi esponenti della malavita.

È il peccato dell’idolatria che ci porta a chiedere la vita a qualcosa di più piccolo di noi.

La Quaresima ci invita alla sobrietà, alla generosità, al rapporto con Dio: queste sono le strade di pace, di libertà e di bellezza.