XXIV domenica del Temp ordinario

 
 

A cura della Fraternità della Trasfigurazione

La scorsa settimana abbiamo ascoltato le parole di Gesù in merito alla correzione fraterna. Subito dopo, nel brano di oggi, troviamo sotto forma di parabola il pensiero di Gesù rispetto al perdono. Pietro domanda al Maestro quante volte è bene perdonare il fratello e abbozza anche un’ipotetica risposta: sette volte è una misura estremamente generosa, se pensiamo che per gli ebrei “sette” è il numero della perfezione. Non sappiamo che cosa spinge l’apostolo a rispondere in questo modo: voleva far notare a Gesù la sua generosità oppure, come era accaduto a Cesarea di Filippo, aveva intuito qualcosa del mistero di Dio e, per un momento, si era avvicinato al suo modo di pensare? Non abbiamo nessuna possibilità di verificare quale sia l’ipotesi corretta; una cosa, tuttavia, è certa: anche qui, come già era avvenuto rispetto all’identità di Gesù, Pietro deve cambiare prospettiva. Così come era stato invitato ad accettare la possibilità di un Messia sofferente, nello stesso modo ora viene esortato a uscire dalle sue categorie molto generose, ma pur sempre umane. A tal fine Gesù racconta una parabola dove sono messi a confronto due atteggiamenti completamente diversi. La prima scena riguarda un re a cui un servo deve restituire una somma ingente, talmente cospicua da rendere impossibile il risarcimento. Questo padrone, impietositosi davanti al servo che lo implora, gli condona il debito; si dimostra così estremamente generoso sia per aver permesso in precedenza l’uso di una smisurata somma di denaro sia per la pazienza e la compassione poi dimostrata. Il secondo quadro narra l’atteggiamento del servo perdonato nei confronti di un compagno che gli deve un esiguo ammontare di denaro, un atteggiamento che può essere osservato da due punti di vista diversi. Nei confronti del fratello egli si dimostra pretenzioso, aggressivo anche fisicamente e totalmente incapace di empatia. Essendogli stato condonato il debito, egli non ha bisogno dei cento denari di cui l’altro gli è debitore e che, in ogni caso, non sarebbero senz’altro stati sufficienti per rimborsare il padrone. La sua durezza di cuore stupisce, soprattutto perché egli per primo è stato oggetto di un dono illimitato rispetto al quale si dimostra completamente insensibile, del tutto impermeabile. È come se, scampato un pericolo, egli si fosse completamente dimenticato del rischio corso, ma soprattutto dell’inestimabile dono ricevuto grazie al perdono offertogli dal re.

La situazione di questo servo riflette la nostra. Anche noi possiamo essere impermeabili di fronte all’inestimabile dono della salvezza che Dio ci offre oppure possiamo viverla con superficialità o addirittura darla per scontata, ritenerla un diritto e non un dono di inestimabile valore. Al contrario, il segno che rivela la nostra consapevolezza dell’essere stati oggetto di un tale dono sta nel condividere il modo di pensare di Dio. Siamo così invitati, come lo fu Pietro, a mettere da parte i nostri pur generosi criteri umani o, come scrive un monaco della Chiesa d’Oriente, a “trascendere e far esplodere ogni perfezione”. Il perdono donato “settanta volte sette” è quindi il segno concreto dell’ingresso nel modo di pensare di Dio dove, come diceva san Bernardo e come dimostra la prima parte della parabola, “la misura dell’amore è senza misura”.