XV domenica tempo ordinario Lc 10,25-37

 
 

– a cura di Mons. Sergio Salvini –

Amare è necessario per vivere –

La parabola del “buon samaritano” dice che il contrario dell’amore non è l’odio, ma è l’indifferenza, sentimento che rende insensibile l’uomo e lo porta a non provare compassione davanti alle sofferenze dei propri simili, né ad avvertire rimorso quando fa del male all’altro; come Caino, che risponde a Dio di non dover rendere conto di suo fratello.

Non è difficile comprendere come questa sorgente malefica possa generare ingiustizie sociali perché rende sordi al grido dei poveri e possa dar vita a conflitti mortali perché rende insensibili davanti a tante vittime. L’indifferenza è l’humus infetto da cui continuano a germogliare guerre, azioni terroristiche, sequestri di persona, persecuzioni per motivi etnici o religiosi, prevaricazioni. Stiamo vivendo un’ora storica di terza guerra mondiale a pezzi.

Il Vangelo di questa domenica invita a vincere l’indifferenza guardando alla figura del “buon samaritano”. Nella parabola il Maestro ci indica l’unica strada lungo la quale l’umanità può ancora trovare la sua salvezza. È la via della conversione che parte da Caino, il quale abbandona, con indifferenza, il fratello ucciso, e giunge al buon samaritano, che riconosce nell’uomo ferito a morte un suo fratello verso il quale ha il dovere di farsi prossimo.

Dobbiamo riscoprire la radice della vocazione fondamentale alla fratellanza e alla vita comune. Non possiamo accontentarci di fragili compromessi tra poteri e interessi opposti ma è la forza di una vocazione a farci “guardiani” responsabili del proprio fratello e del suo bene.

È Gesù stesso che invia: «Va’ e anche tu fa’ lo stesso». Noi dove incontriamo il prossimo? Lo incontriamo ogni giorno appena spunta il sole, quando apriamo la porta di casa; quando camminiamo per le strade; quando andiamo al mercato. È quando incontriamo persone che possiamo amare, persone a cui noi possiamo donare il sorriso di Dio, l’amore di Dio, lì noi ci facciamo prossimo. Madre Teresa esortava: «Asciugate lacrime e avrete gli occhi simili a due finestre dalle quali si vede il paradiso».

La conclusione di questo vangelo è una domanda: cosa devo fare per essere vivo? Tutto il nostro futuro è racchiuso in un verbo: «Amerai il tuo Dio, i tuoi samaritani e ogni viaggiatore ferito». Tu amerai: un verbo al futuro, perché amare è azione mai conclusa, che dura quanto dura il tempo; perché è un progetto, l’unico, e mai del tutto realizzato. Un verbo al futuro non all’imperativo, perché amare non è un obbligo, ma una necessità per vivere; amare è come respirare. Cosa devo fare domani, Signore, per essere vivo? Tu amerai. Cosa farò per il tempo che verrà e poi dopo, lungo il mio futuro? Tu amerai. E l’umanità, il nostro destino, la nostra storia? Solo questo…l’uomo amerà.

Al centro del messaggio di Gesù una parabola, e al centro della parabola un uomo. E un verbo: tu amerai. «Va’ e anche tu fa’ lo stesso». Fai così, e troverai la vita.

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Vivere è amare, e più amo più sono vivo, più mi abbasso verso chi è a terra, più mi sollevano mani di samaritani buoni. E le tue mani, mio Signore, nelle loro mani.