Terza domenica di Pasqua

 
 

A cura della Fraternità della Trasfigurazione

Prima della sua passione Gesù aveva detto ai discepoli che dove due o tre fossero uniti nel suo nome, egli sarebbe stato in mezzo a loro (cf Mt 18,20). Ed ecco che, mentre i due ritornati da Emmaus stavano raccontando agli Undici e agli altri radunati con loro quanto era accaduto lungo la via e come l’avevano riconosciuto, il Signore Gesù appare e augura loro la pace. Non si tratta di un augurio qualunque, come quelli che possiamo scambiarci fra di noi nella speranza di comunicarci reciprocamente serenità e benessere. La pace che il Risorto dona ai suoi è quanto può offrire solo Colui che è passato attraverso il dolore e la morte sconfiggendoli per sempre. Egli, ormai, non teme più nulla ed è proprio questa forza ciò che vuole partecipare e condividere con i suoi, i quali dimostrano invece di averne estremamente bisogno. Essi, infatti, rispondono in modo paradossale alla sua venuta: in primo luogo si mostrano sconvolti e pieni di paura proprio mentre si sta riproponendo quanto gli amici stavano narrando e che, di conseguenza, avrebbero potuto considerare come una conferma delle loro parole. In seguito, quando Gesù li rassicura mostrando loro le mani e i piedi, ancora non credono a causa della gioia troppo grande. Un atteggiamento apparentemente incomprensibile e irrazionale, ma che forse anche noi abbiamo vissuto tutte le volte in cui ci è capitato di affermare che una cosa era troppo bella per essere vera. Come per i discepoli anche per noi il nostro cuore sospettoso invita a dubitare dei doni di Dio e a vivere i tempi sereni aspettando che da un momento all’altro la sofferenza faccia irruzione nella nostra esistenza. In fin dei conti gioire è un atto di abbandono: esso, infatti, comporta l’accogliere pienamente qualcosa che ci viene offerto senza temere di esserne poi deprivati; noi, però, facciamo fatica a fidarci di Dio e a credere nella generosità della vita. Di fronte alla resistenza dei discepoli, il Risorto offre loro alcuni segni che li aiuteranno a credere. Innanzitutto, le mani e i piedi dove sono rimaste le tracce della sua passione e che, di conseguenza, rivelano ai presenti fino a che punto essi sono stati amati. Poiché per la paura ancora non credono, egli chiede loro da mangiare: Colui che avevano scambiato per un fantasma mostra la realtà corporea della risurrezione. Si tratta di un gesto che dovrebbe farci riflettere e contemplare la grandezza della nostra fede; in un’epoca in cui molti aderiscono a forme di religiosità dove la corporeità è svalutata, a noi è dato di apprezzare e gioire per la stima che il cristianesimo attribuisce al corpo umano, un corpo che il Figlio di Dio assume, conserva e trasfigura nella prospettiva di partecipare tutto questo anche a noi. Come ultimo atto Gesù apre la mente ai suoi affinché comprendano le Scritture; essi, infatti, hanno bisogno di interpretare in modo nuovo la Parola alla luce della resurrezione, tanto più che l’evento traumatico della crocifissione poteva aver cancellato i ricordi passati o creato incertezze e confusione. Ora essi sono invitati a comprendere che negli avvenimenti drammatici da loro vissuti, ovvero nella Pasqua del Signore, si riassumono tutte le Scritture; ed è proprio questo il messaggio che essi dovranno predicare e testimoniare, messaggio il cui frutto sarà la conversione di fronte a un amore così estremo e il perdono dei peccati come dono della sua infinita misericordia.