Solennità di Cristo Re dell’universo Mt 25,31-46

 
 

– a cura delle Clarisse di Santa Chiara in Roasio Santa Maria –

La regalità di Dio è nell’amore –

Chi sei Tu, affascinante predicatore che vieni dalla Galilea? Galilea delle genti ovvero dei pagani, territorio di periferia, non dal centro da Gerusalemme.

Chi sei comune e normale lavoratore di provincia? Tu sei il più bello tra i figli dell’uomo (Sal 45,3), ma sei un abitante di Nazareth e «può mai venire qualcosa di buono da Nazareth?» (cfr. Gv 1,46). «Non è costui il falegname, il figlio di Maria e il fratello (= cugino, ndr) di Giacomo, di Ioses, di Giuda e di Simone? E le sue sorelle (= cugine, ndr) non stanno qui da noi?» (Mc 6,3).

Chi sei? «Sei tu il Re dei Giudei?» (Gv 18,33) gli aveva chiesto Pilato, quando glielo avevano consegnato affinché lo condannassse alla crocifissione in quanto si era fatto Figlio di Dio (Gv 19,7). «Tu lo dici: io sono re… ma il mio regno non è di quaggiù (Gv 18,37)»
Di dove è il tuo regno Signore? «Il mio regno non è di questo mondo…» (Gv 18,36). Già, il regno di Gesù è oltre.

In quest’ultima domenica, a chiusura dell’anno liturgico, la Chiesa ci invita a celebrare Cristo Re dell’universo. Sappiamo dai Vangeli che Egli rifiutò il titolo di re in senso politico, cioè alla stregua dei capi delle nazioni, mentre, durante la sua passione, rivendicò una singolare regalità davanti a Pilato. Una regalità che è rivelazione e attuazione di quella di Dio Padre, quel Padre che solo governa tutte le cose con amore e con giustizia. La regalità di Dio è quella di un regno completamente diverso da quelli terreni e Gesù è venuto a portarla sulla terra, è venuto a rendere testimonianza a un Dio Padre, che è amore e che vuole stabilire ad ogni costo un regno di giustizia, di amore e di pace.

Anche i discepoli aspettavano un regno politico, Gesù, invece, venne a stabilire il suo regno non con le armi e la violenza, ma con l’apparente debolezza dell’amore, quell’amore che giunge all’apice sino al dono della vita. Chi è aperto all’amore ascolta questa testimonianza, la accoglie con fede ed entra così nel Regno di Dio, nel suo regno universale.

Il vangelo di questa domenica insiste proprio sulla regalità universale di Cristo con la bellissima parabola del giudizio finale. Quella regalità che era rimasta nascosta fino ai suoi trent’anni, trascorsi in un’esistenza ordinaria a Nazareth, e che cominciò a emergere durante la vita pubblica, quando Gesù inaugurò il suo Regno che «non è di questo mondo» (Gv 18,36), per esplodere pienamente quando Egli appare agli apostoli dopo la sua morte e risurrezione, e quando afferma: «Mi è stato dato ogni potere in cielo e in terra» (Mt 28,18).

Nel grande discorso di Matteo di questa domenica, nel quale si descrive il giudizio universale, Gesù non parla più solamente ai cristiani ma a tutti i popoli della terra, anche a quelli cui non è giunta la Buona Novella ma che hanno avuto il dono della vita e, con essa, l’insopprimibile memoria del bene e del male: la Parola scritta nella carne e nell’intelligenza di ogni persona.

In quel giorno, la moltitudine degli uomini si troverà di fronte a Dio e sarà giudicata sull’amore ai propri fratelli, ma ciò che sconvolge è l’affermazione di Gesù: «Quello che avete fatto a loro, l’avete fatto a me».

Sappiamo per certo che Cristo è presente vivo e vero nell’Eucaristia, ma dobbiamo assolutamente credere che è presente anche nelle periferie, nella fame e nel freddo, nel fetore delle baracche, nelle solitudini, nel lavoro disumano, nella schiavizzazione… Tutti saremo giudicati sull’amore operoso che avremo avuto verso questi infelici, questi dimenticati. Tutto ciò che avremo o non avremo fatto a questi “piccoli”, l’avremo fatto oppure non l’avremo fatto a Lui.
È un forte invito per ciascuno di noi, affinché ci lasciamo convertire sempre e di nuovo al suo Regno, alla sua Signoria. alla sua Verità.

Domani saremo parte di un innumerevole popolo convitato con gli angeli nell’eterna liturgia dell’Amen. Quell’Amen che è il grido della fede e dell’Amore.