Ruminazioni mentali 2

 
 

Alle mie ormai vetuste meningi viene voglia questa volta di ragionare di questioni molto terra terra. Essendo un “don” credo che nessuno si stupisca se mi arrabatto a ragionare di questioni relative al sostentamento del clero obbedendo, non con particolare entusiasmo, a sollecitazioni provenienti dalle nostre gerarchie che si rivelano lievemente preoccupate sulla faccenda. I fanali della Chiesa italiana un paio di volte l’anno – primavera e autunno – si accendono sull’accennata questione. I preti si devono sostentare, ossia anche loro come tutti devono cavarsela a vivere con un minimo di decoro. Spingersi oltre vuol dire varcare i limiti della virtuosa sobrietà invocata da un saggio dell’Antico Testamento, un certo Agur, del quale nulla sappiamo: “Non darmi né povertà né ricchezza, ma fammi avere il mio pezzo di pane” (Proverbi 30,8). Lo spirito francescano ha dunque origini molte remote. Oggi si potrebbe aggiungere a quella modica richiesta anche un’utilitaria per girare fra le varie parrocchie!

Allarghiamo lo sguardo. Non ci sono soltanto preti ma anche chiese. Anzi le chiese sono molto più numerose dei preti. Un parroco solo per cinque parrocchie, tanto per fare un esempio, la dice lunga. Se poi si contato anche le chiesette di contorno, il loro numero può lievitare fino a trentacinque e oltre; ma il parroco, titolare responsabile, resta sempre uno solo. Tutti invecchiano: chiese e parroci, ma in maniera diversa. Il parroco invecchia più velocemente e più di tanto non campa. Le chiese restano in piedi più a lungo, ma il rischio che una tegola plani su qualche cucurbita, rimane. A intervenire su tutti i tetti malandati non ce la facciamo, allora ci consoliamo rinforzando le assicurazioni che non omaggiano la garanzia. Insomma, quando si parla di sostentamento del clero, si parla implicitamente anche di sostentamento delle chiese.

E ora veniamo ai meccanismi di sostentamento. Cominciamo dal famigerato 8xmille. E’ una firma da apporsi in apposito spazio nella dichiarazione dei redditi. Il che vuol dire che se dichiaro un reddito di 1000 euro, 8 di questi sono destinati alla Chiesa Cattolica Italiana. Alettante, perché al contribuente non costa nulla! E’ lo Stato che gira alla Chiesa quegli 8 euro. Questo sistema ha avuto origine, se ben ricordo, nel 1984. Ma si constata, specie in questi ultimi anni, un calo delle firme in favore della Chiesa Cattolica. Il motivo? Si sono fatte avanti altre confessioni religiose e altri enti a chiedere lo stesso trattamento. Nulla da dire, tutti hanno diritto di vivere, ma nella stessa dichiarazione si può firmare per un solo “pretendente 8xmille” e si pone un comprensibile imbarazzo della scelta. Il guaio è che i mono-reddito, e non sono pochi, non sono tenuti a presentare la dichiarazione, quindi viene a mancare la loro firma. Si stanno studiando corrette (e complicate) modalità per accalappiarla. Va aggiunto lacrimevolmente che in questi ultimi tempi la Chiesa, catapultata sui media, non scintilla di sfolgorante virtù! Onde il cortese “entusiasmo” nei suoi confronti può afflosciarsi un pochino.

Col fondo 8xmille la Chiesa italiana cosa fa? Innanzitutto “sostenta” il clero, bonificando circa 1200,00 euro al mese a ogni prete, il quale essendo “signorino” senza famiglia, riesce a tirare avanti dignitosamente. Ciò che resta nel fondo 8×1000 viene utilizzato per interventi caritativi (es. Ucraina) e per il risanamento della selva di edifici di culto presente in Italia, dando la precedenza ovviamente ai più importanti e più compromessi.

Un altro strumento di sostentamento è il classico bollettino postale precompilato, ove si tratta di inserire solo l’importo e i dati anagrafici dell’offerente. Credo che lo si possa raccattare in tutte le chiese, almeno parrocchiali. Questo importo è utilizzato esclusivamente per il sostentamento del clero ma con magri risultati, perché copre soltanto il 2% del fabbisogno. Va aggiunto che l’importo così versato è deducibile dalla dichiarazione dei redditi.

Questo sistema, anche se ragionevole e discreto, mi pare che possa comportare un rischio a livello di immagine: quello di “aziendalizzare” la Chiesa. E’ il rischio che sta correndo nella scia della furibonda digitalizzazione odierna. Infatti ha già cominciato a mandare terrificanti link per organizzare un efficace funzionamento parrocchiale del “sostentaclero”, con delizia dei molti preti ultrasettantenni, nati in epoca non trogloditica ma predigitale. Al clero digitalmente imbranato viene data questa (ingenua) esortazione: “Fatevi aiutare”, come se un fedele su due non aspetti altro che dare una mano in parrocchia!

Ora che abbiamo parlato del sostentamento, parliamo un po’ dei sostentati. Quanti sono i Italia i preti da sostentare? Secondo le ultime informazioni a me pervenute, sarebbero circa 35.000, non so se al lordo dei vescovi, che sono comunque clero anche loro. Sono stranamente tagliati fuori i diaconi permanenti, che sono clero anche loro, ma hanno il buon gusto di non fare piazzate rivendicanti.

I tempi dunque per il clero, e non solo, sono poco allegri causa progressiva rarefazione dei “sostentandi”[1]. Infatti il vero, inquietante problema non è il loro sostentamento, ma la loro rarefazione numerica. Osservando situazioni di casa nostra (diocesi di Vercelli), abbiamo un prete di mezza età al timone di ben undici parrocchie! D’accordo sono parrocchie piccole, ma burocraticamente tutto deve essere moltiplicato per undici. Rimanendo in Italia, mi sembra che il Piemonte sia la regione più “spretata”. Sarebbe una gran bella cosa se si potesse realizzare un clerical-conguaglio interdiocesano, per cui la diocesi che vocazionalmente sta meglio passa dei sacerdoti a quella che arranca. Laddove si parla la stessa lingua non ci dovrebbero essere insormontabili controindicazioni. Mi chiedo perché un funzionario statale può essere ribaltato da Crotone a Domodossola, tirandosi dietro moglie e figli, e ciò non sia possibile per un prete, che si trascina dietro solo le sue indispensabili carabattole.

Ancora un particolare, legato al rapporto preti/soldi. Un prete nato da famiglia benestante, non è colpa sua se gli perviene per via testamentaria una corpulenta eredità. E dei soldi in eccedenza cosa se ne fa? Può fare due cose: conservarseli affettuosamente in banca, lasciando magari caritative disposizioni testamentarie. Credo che questa tattica valga ben poco la cospetto di Dio, perché la carità, senza un minimo di rischio personale, non è carità ma comodità. Oppure ancora in vita può destinare il “gruzzolo”, o parte di esso, per interventi caritativi: a favore dei poveri e/o a sostentamento di edifici di culto di sua pertinenza. Non mancano esemplari dell’una e dell’altra categoria, che chiamiamo rispettivamente sparagnina e generosa.

Concludo citando una delle rare intenzioni di preghiera segnalate da Gesù: “Pregate il padrone della messe, perché mandi operai alla sua messe” (Mt 9,38). Non ha detto però: “Pregate il padrone della messe, perché mandi operai da sostentare”. I “sostentandi” sono più importanti del loro sostentamento! 


[1] Il sussiegoso titolo “reverendo” (= da riverirsi) è passato di moda in favore del più confidenziale “don”.  Rimanendo nell’ambito del gerundio, si potrebbe lanciare il titolo “sostentando” (=da sostentarsi).  Chiedo scusa al lettore serioso di questa fresconata, ma non sono capace di scrivere cose serie senza ficcarci dentro almeno una scemenza…

[1] Il 25 del mese è il giorno in cui al clero viene accreditato l’assegno di sostentamento.

[2] Il sussiegoso titolo “reverendo” (= da riverirsi) è passato di moda in favore del più confidenziale “don”.  Rimanendo nell’ambito del gerundio, si potrebbe lanciare il titolo “sostentando” (=da sostentarsi).  Chiedo scusa al lettore serioso di questa fresconata, ma non sono capace di scrivere cose serie senza ficcarci dentro almeno una scemenza…