Relazione di Elisa Cagnazzo del 21 ottobre 2014

Vercelli, 21 ottobre 2014

ARTE E SIMBOLI IN CATECHESI

Riflettendo sul fatto che l’arte è congeniale alla catechesi ci chiederemo:
1. perché lo è?
2. quale arte lo è?
3. come possiamo usare l’arte in catechesi? E qui proveremo anche a dare una proposta concreta.

1) Perché usare l’arte in catechesi?

Non parliamo, per un attimo di “arte”, ma stiamo più in generale sugli “elementi del visivo”, sulle immagini. Che rapporto hanno i bambini con le immagini? Chiedercelo ci permetterà di scoprire quale arte usare e come.

Partiamo dalle immagini che il bambino produce, cioè i suoi disegni. Per un bambino fare un disegno significa:
– Memoria. Il disegno è il modo con cui un bambino prende appunti, il modo con cui si appropria di ciò che ha appena appreso.
– Espressione.Il bambino attraverso il disegno non solo memorizza ciò che ha appreso ma anche lo interpreta, facendolo diventare “suo”.
Chiedere ai bambini di disegnare ciò che abbiamo appena raccontato loro è uno strumento fondamentale in catechesi, da quel momento in poi, infatti, ciò che hanno disegnato è interiorizzato. I bambini nel momento della catechesi stanno costruendo il loro bagaglio di immaginario biblico. Per noi adulti è naturale immaginare Gesù in un certo modo, per un bambino no! Questa immagine si sta formando nella sua immaginazione e, in catechesi, dobbiamo avere cura di accompagnare questa fase che è fondamentale perché il bambino possa appropriarsi di ciò che gli viene trasmesso.

Attenzione! Disegnare non è colorare un disegno! Qui non c’è spazio per l’espressione! Ai bambini piace perché è rilassante, ma per loro è semplicemente riempire degli spazi con il colore. Non ci stupiamo allora di quando, colorando una scheda, i colori “vanno a caso” e, senza neanche accorgersene, i volti diventa blu, i capelli verdi…

Attenzione! Il disegno dei bambini non è “bello”! Non ci sono proporzioni, non c’è profondità né verosomiglianza, tutto questo rende il disegno “brutto” agli occhi di un adulto. Per un bambino, però, un disegno è bello nella misura in cui esprime ciò che ha dentro: dentro il suo immaginario e nel suo vissuto interiore ed emotivo. Potrebbe essere traumatico per un bambino che abbia espresso ciò in un disegno sentirsi dire: “Che brutto disegno! Come hai disegnato? Perché questi colori così scuri?…”. Un disegno ha a che fare con l’interiorità del bambino, è il suo modo di comunicare, dobbiamo avere cura di valorizzarlo.

– Pensiamo ora alle immagini che il bambino vede. Per la sua mente concreta, la verità coincide con “ciò che vedo”. Quello che io vedo è vero. Questo implica che dobbiamo fare moltissima attenzione a ciò che gli mostriamo, perché potremmo creare in lui un immagine che sarà poi difficile modificare. Le immagini si imprimono indelebilmente nella memoria dei ragazzi. Per esempio, mostrare a dei bambini un immagine di come quella del Creatore di Michelangelo nella cappella Sistina creerà in loro la certezza che Dio è un vecchio, con la barba, vestito di rosa!, molto forte e molto arrabbiato.
Allo stesso modo un’immagine stucchevole lascerà nella memoria l’idea che il Dio del catechismo è un Dio “per bambini piccoli” che non avrà più niente di interessante da dire appena si sentirà un po’ grande.
Attenzione dunque a quali immagini facciamo vedere ai bambini, e anche a quando gliele facciamo vedere. L’immagine è potentissima, e dato che per il bambino ciò che vedo è vero, essa ha l’effetto di una bomba sull’immaginazione del bambino. Se noi gli facciamo vedere un’immagine, di Dio Padre per esempio, da quel momento il Padre nella sua immaginazione sarà così. Ma io ritengo che la fase in cui il bambino costruisce il suo immaginario biblico sia fondamentale. È la premessa per interiorizzare la fede, per appropriarsene (e cos’è la crisi di fede se non che la fede ha smesso di parlare alla mia vita?). Allora, per preservare al massimo questa fase così importante e delicata, suggerisco di lasciare spazio nel primo anno, o nei primi anni, di catechesi perché i bambini possano immaginare il più possibile usando la loro fantasia, per arricchire il loro immaginario. Solo in un secondo tempo, quando cioè questo bagaglio è ben consolidato può essere utile iniziare a mostrare loro delle immagini. L’immagine a questo punto non disturba più il bagaglio di immagini che si sono creati e, anzi, può essere utile per loro confrontare le “loro” immagini con quelle che mostrerete loro.

2) Quali immagini usare in catechesi?

Alla luce di quanto appena detto, abbiamo capito che non tutte le immagini sono adatte alla catechesi. Quali usare, allora?
La mia risposta è che l’espressione artistica più congeniale per la catechesi siano le icone. Definisco icone quelle immagini espressamente prodotte per il culto, per la preghiera (non tutte le immagini con contenuto religioso sono icone!) e che obbediscono a un determinato codice iconografico. Le icone possono essere molto antiche o anche moderne, realizzate con varie tecniche, la tempera, l’olio, il mosaico…

Non tutte le immagini a contenuto religioso sono state prodotte per essere venerate. Per esempio, non è sempre stato così nell’arte cristiana. Brevemente, scorriamo i principali scopi per cui i cristiani hanno prodotto arte, fino ad arrivare al VI secolo, epoca in cui, in maniera più massiccia, i cristiani hanno iniziato a dipingere icone.

– L’arte paleocristiana, I-II secolo: scopo “segnico”. Le prime forme di arte paleocristiana erano a destinazione funeraria e comparirono sui muri delle catacombe o sulle decorazioni dei sarcofagi. Le primissime forma erano segni che avevano lo scopo semplicemente di essere indicazioni, “riferimenti a…”. È il caso del pesce, dell’ancora, della palma… segni che rimandavano a Cristo e segnalavano la presenza di cristiani.
– III secolo: scopo narrativo. Presto l’arte nelle catacombe iniziò a raffigurare varie scena dell’antico o del nuovo testamento. Lo scopo di queste immagini era narrativo: raccontare un episodio per aiutare la fede e la speranza dei fedeli. Così raffigurare i tre cristiani nella fornace doveva portare conforto e coraggio ai cristiani perseguitati, il buon pastore era la speranza che Cristo avrebbe condotto ai pascoli eterni l’anima di quel defunto o che sarebbe risorto, come Lazzaro, e così via…
– Dopo il 313: scopo dogmatico. La situazione cambiò radicalmente a partire dal 313, anno in cui l’editto di Milano sanciva la libertà religiosa nell’impero. Grazie alla conversione di Costantino il cristianesimo passò da essere religione perseguitata a religione di stato. Chiuso il fronte esterno si aprirono i fronti interni e la Chiesa cominciò a doversi difendere dalle eresie che la dividevano all’interno. Erano gli anni in cui cominciava a svilupparsi la riflessione teologica e la fede cominciava a cristallizzarsi nei dogmi. Anche l’arte doveva contribuire a quest’opera di consolidamento delle verità della fede contro le eresie. Potremmo dire che anche l’arte diventò dogmatica, essa doveva trasmettere le verità della fede. Le immagini diventavano lo strumento iconografico per combattere le eresie.
– VI secolo: scopo cultuale. A partire dal VI secolo si iniziarono a produrre immagini allo scopo di venerarle. Viene detta icona un’immagine destinata a questo scopo. La comparsa delle icone non presuppone un cambiamento di ordine stilistico o contenutistico. Non si tratta di un nuovo ordine di immagini o di un nuovo tipo di oggetto religioso ma di un nuovo modo di usare le immagini. Non è anzitutto una tecnica pittorica ma un nuovo concetto d’immagine. Certamente, l’emergere di questo nuovo uso delle immagini era da collegare alla progressiva scomparsa del mondo pagano che non rendeva più “pericoloso” un tale concetto di immagine.
La venerazione delle icone non fu affatto pacifica. Vi furono nella Chiesa più di cento anni di lotta tra chi difendeva il culto delle immagini e chi lo rifiutava definendolo un’idolatria. Tra persecuzioni e distruzioni di immagini (pochissime le icone sopravvissute!) fu il concilio di Nicea II nel 787 e la riflessione successiva di grandissimi padri della Chiesa a risolvere la questione. Le immagini potevano essere venerate, non adorate perché questo spettava solo a Dio, poiché esse contenevano una qualche presenza del soggetto raffigurato. Le icone, in quanto strumenti per la preghiera riconosciuti come tali dalla Chiesa ufficiale, dovevano obbedire a un codice iconografico che si accordava ai dogmi della fede.
Così ancora oggi un artista iconografo che vuole dipingere un’icona lo deve fare obbedendo a determinati schemi, modelli… Pena, il compromettere la verità di fede trasmessa. Oggi come mille anni fa la tradizione della Chiesa ci trasmette la stessa immutabile verità, fuori dal soggettivismo dell’artista, dal sentire del suo tempo…

Allora perché usare le icone in catechesi e non altre immagini? Perché le icone trasmettono con certezza la verità della fede, e solo quella dovendo obbedire a un codice iconografico. Esse sono il deposito visivo della tradizione e delle fede della Chiesa, per questo hanno una naturale virtù didattica.

Attenzione! Non vuol dire che un quadro di Leonardo, per esempio, non dica la verità della fede, ma che esso dice anche altro. E, soprattutto, non è la via “canonica” quella via per cui la Chiesa ci dice che di sicuro troveremo la verità. Questo non vuol dire che non esista verità altrove ma che, la tradizione della Chiesa ce lo assicura, qui c’è di sicuro.

3) Come usare le icone in catechesi?

I metodi possono essere molti, ma le modalità sostanzialmente sono di due tipi:

o Metodo “induttivo”: metodo scolastico. Il catechista spiega i diversi elementi che compongono l’immagine, i ragazzi ascoltano. Poco proficuo in catechesi perché si limita a trasmettere un sapere, non alimenta la fede.

o Metodo “deduttivo”: lasciare che l’immagine stessa parli da sé, interroghi e solleciti l’intelligenza dei ragazzi. Questo metodo mette in dialogo la Bibbia e l’immagine. Si potrebbe articolare in questo modo:
 Racconto del brano
 Attività di appropriazione/memorizzazione
 Confronto con l’immagine. I nostri ragazzi vivono sommersi di immagini, proprio per questo non sono educati alla loro osservazione. Educhiamoli a osservare attentamente, a cogliere i particolari, le stranezze… Non affrettiamoci a rispondere, a spiegare, lasciamoli entrare nel mistero. Chiediamo loro “Rispetto alla storia che ti ho raccontato, noti qualcosa di diverso? Di uguale? C’è qualcosa che ti sembra strano?”. Mettetevi in dialogo con loro e giocate a “svelare il mistero dell’immagine”. Lo scopo di questa catechesi non è che i ragazzi ricostruiscano perfettamente l’analisi dell’opera, ma che vi entrino in dialogo con la loro intelligenza, la loro curiosità, e che questo dialogo sia nutriente per la loro fede.

Esempio: preparazione di una catechesi sulla Trinità:
– Racconto dell’episodio biblico dell’ospitalità di Abramo
– Attività di appropriazione
– Icona: educare lo sguardo all’osservazione. Cosa c’è di uguale? Cosa c’è di diverso?
– Far dialogare i ragazzi con la Scrittura, quella canonica della Bibbia e quella dell’immagine.

Proposta di lettura dell’icona della Trinità di Andej Rublëv:

– Ospitalità di Abramo, l’apparizione alle querce di Mamre (Gen 18): la Trinità viene tradizionalmente raffigurata attraverso la mediazione di un episodio storico. Sembrava troppo audace la possibilità di rappresentarla in sé stessa.
– tre angeli:
• Prima dell’incarnazione ogni teofania è angelica, come dimostra tutto l’Antico Testamento.
• Gli angeli sono uguali, nei lineamenti dei loro volti, ma comunque diversi. Così è rappresentata in modo molto plastico l’unica natura nelle tre persone della Trinità.
• Gli angeli sono giovani, lo deduciamo dall’assenza di barba, segno, invece, dell’età matura. Iconograficamente questo è il simbolo della divinità, dell’eterna giovinezza di Dio che non invecchia mai, che è immutabile ed eterno.
• I tre sono ospiti, vengono a chiedere l’ospitalità di Abramo, gli fanno compiere un esodo dalla sua tenda e ne accettano i doni.
• I tre sono pellegrini, lo deduciamo dal bastone in mano e dai piedi nella posizione del passo. Dio è quel pellegrino che compie il primo passo verso l’uomo.
• A partire dalla sinistra dell’icona sono il Padre, il Figlio e lo Spirito Santo.
– L’icona è costruita su uno schema compositivo circolare, altro elemento che indica la sfera del divino.
– il Figlio:
• dei tre è quello colorato a tinte più decise. Egli è il Dio incarnato entrato nella storia, Colui che ha reso visibile il Dio invisibile. È vestito di rosso, il colore della divinità, e sovravestito di blu, colore dell’umanità. Il Figlio, infatti, è il Dio che si è rivestito della nostra umanità.
• Il braccio destro è enorme e potente. Il braccio destro di Dio è quello della Creazione, quello “alzato contro l’Egitto” nell’Esodo, quello che annienta i nemici, e l’ultimo nemico ad essere annientato sarà la morte, dice san Paolo. Cristo è la redenzione divina attuata.
• Alle sue spalle c’è un albero. È il nuovo albero della vita e Cristo è il nuovo Adamo. Adamo aveva mangiato il frutto dell’albero della vita nel paradiso terrestre e aveva meritato la condanna per tutti gli uomini. Ora, il nuovo albero della vita è la croce, il frutto della vita che vi pende è il corpo di Cristo crocifisso, mangiando di questo frutto, farmaco di immortalità, l’umanità è sanata.
• Il figlio è rivolto al Padre, inclinato verso di Lui in obbedienza filiale, come dice anche il prologo del Vangelo di Giovanni.
– il Padre:
• A Lui il Credo dedica poche parole perchè è l’indescrivibile per eccellenza.
• Il manto di cui è rivestito è, infatti, di colore indefinito: rosa pallido con riflessi blu/verdi. Ben evidente però è del blu sul petto: ciò che sta a cuore al Padre è l’uomo.
• Alle sue spalle un edificio: la casa del Padre. Essa non ha né porte né finestre, è esclusa la possibilità di trovarla chiusa.
• La mano destra è benedicente e rivolta allo Spirito Santo: è il Padre che lo manda.
– Lo Spirito Santo:
• Il colore predominante del suo vestito è il verde. È il colore della vita, e lo Spirito Santo è Colui “che dà la vita”, è il colore della giovinezza, dello Spirito che tutto rinnova.
Ma il verde è anche il colore del creato. Lo Spirito è ciò che lo muove verso il Padre, al quale tutto ritornerà. Così la montagna alle sue spalle, è paradossalmente inclinata verso il Padre.
• Inoltre, la montagna nella Bibbia è il luogo della rivelazione Dio per eccellenza. Lo Spirito Santo è Colui che lo rivela agli uomini.
• Sotto il manto verde indossa una tunica blu. Lo Spirito inabita l’uomo e lo rende cristiforme. Lo Spirito è Colui che nell’uomo grida “Abbà, Padre” e rendendolo sempre più pienamente figlio lo riconduce al Padre. Per questo dei tre lo Spirito è il più inclinato verso terra: è il più vicino alla terra e all’uomo ed è inclinato al Padre e al Figlio.
– I tre siedono in trono attorno a una mensa:
• Al centro del tavolo un calice con la testa di un agnello. Il riferimento è alla prima Pasqua, al tempo dell’Esodo, ma anche alla mensa eucaristica.
• Infatti, il Padre e lo Spirito Santo disegnano con i loro corpi un calice nel quale è inserito il Figlio. È Lui il nuovo agnello della nuova Pasqua eterna.
• Infine, questa mensa ha un posto vuoto, esso coincide con lo spettatore. Alla mensa della Trinità è apparecchiato un posto anche per me.