Pasqua 2021

 
 

Don Luciano Condina commenta il Vangelo di Pasqua Gv 20,1-9

Pasqua di resurrezione! Festa dell’impossibile, festa della nuova creazione e della rigenerazione in Cristo.

I vangeli di Marco e di Giovanni – della veglia di sabato e della domenica mattina – ci mostrano il limite della fede umana attraverso i protagonisti di cui si narra; infatti tutti si rapportano a Gesù come morto e che tale sarebbe rimasto. Le tre donne (in Mc 16,1) vanno al sepolcro munite di oli e aromi per terminare la preparazione del cadavere, che avevano appena abbozzato la sera del venerdì, causa l’imminenza del sabato – i giorni, per gli ebrei, cominciano la sera prima – e dunque, pur essendo nel terzo giorno dalla morte, sono predisposte a visitare un cadavere.

Nel vangelo di Giovanni è detto chiaramente dei due apostoli – Pietro e Giovanni – che «non avevano ancora compreso la scrittura» (Gv 20,9); dunque non credevano alla risurrezione. Inoltre, nel versetto precedente si legge: «Allora entrò anche l’altro discepolo, che era giunto per primo al sepolcro, e vide e credette». L’espressione «credette» è riferita solo a quel discepolo, Giovanni, non a Pietro il quale, evidentemente, aveva sposato l’ipotesi di Maria di Màgdala che sosteneva la traslazione del cadavere in altro luogo. E Tommaso non crederà nemmeno ai dieci apostoli che gli parleranno della resurrezione di Cristo.

Ciò che manca in queste due narrazioni è la cosa più importante: la fede nella resurrezione. Viene sottolineato il limite oltre il quale l’uomo non può andare, perché la sua mente non riesce a comprendere. Obiettivamente è impossibile credere alla resurrezione a meno che la fede non venga trasmessa dall’alto.

Nel vangelo di Marco notiamo che la fede viene trasmessa alle donne da un giovane vestito di bianco, un angelo; mentre nel vangelo di Giovanni egli credette perché vide i teli posati da un lato – le bende che avvolgevano il lenzuolo – e il sudario avvolto in un altro posto: vede cioè che tutto è in ordine; e non è certo la scena del trafugamento di un cadavere. Appena risorto, Gesù ha riordinato l’ambiente del sepolcro, quasi fosse la sua cameretta, come probabilmente era solito fare. Giovanni percepito il senso di quell’ordine, tipico delle cose di Dio, che lascia sempre purezza, armonia in tutto.

Dunque, nessuno degli altri aveva fede quella mattina, se non dopo averla ricevuta.

Voglio credere, però, che almeno una persona la fede ce l’avesse e, certamente, deve aver lottato con tutta se stessa durante l’interminabile sabato in cui più nessuno doveva aver mostrato di credere a quanto detto da Gesù: questa persona è Maria, la madre di Gesù. Proviamo a immaginare come può aver trascorso la giornata successiva alla sepoltura del figlio, il tempo in cui stremata comincia a entrare nel lutto e il dolore si cristallizza annebbiando la mente. Non pensiamo molto a Maria ma, a buon diritto, possiamo definirla corredentrice per il dolore sostenuto in quei giorni. Mille volte una madre soffrirebbe al posto del figlio e possiamo immaginare che non abbia sofferto meno di Gesù ai piedi della croce. E poi: Gesù ha riportato in vita gli altri; ma chi avrebbe riportato in vita lui? Il Padre? Quello che sembra averlo abbandonato durante la crocifissione? Forse questi erano i dubbi che tormentavano Maria. Quanto avrà lottato, povera mamma!

Che donna Maria, madre della fede: unica tra tutti, avrà perseverato nel credere che il figlio sarebbe risorto. Accogliendo sotto la croce Giovanni come figlio è diventata madre della Chiesa e, da quel sabato, non ha mai smesso di sostenere la Chiesa nel buio della fede. Rivolgiamoci a Lei quando viviamo lo stesso buio, nel quale non sappiamo più dove volgere lo sguardo.

Buona Pasqua!