IV Domenica di Pasqua Gv 10,27-30

 
 

Non esiste salvezza al di fuori di Cristo –

la riflessione è di padre Ermes Ronchi –

«Le mie pecore ascoltano la mia voce» (Gv 10,27). È bella questa immagine del pastore che chiama le pecore ed esse obbediscono solo alla sua voce, che riconoscerebbero fra mille.

Anche noi, oggi, siamo chiamati a scegliere quale voce seguire e non una volta sola, come se bastasse per tutte. Questa sarebbe una fede banale di chi pensa che qualsiasi scelta faccia, anche negli atti piccoli della vita, non cambi la direzione della sua vita. Pensare: “Io sono buono, poi ogni tanto faccio un po’ di peccati, però in fondo ho scelto di camminare verso il bene” è falso, perché le nostre scelte modificano il cammino verso il nostro obiettivo. Se la pecora sceglie di non seguire la voce del pastore si troverà perduta; poi potrà essere raggiunta dal pastore che la aiuterebbe a tornare con lui, ma se la sua vita si fermasse all’incontro con un lupo, quell’atto avrebbe condizionato per sempre la sua vita. Questo è un esempio banale, ma per i peccati è qualcosa di più profondo: non possiamo pensare di compiere il male e di non essere soggetti alla sua schiavitù.

Nel Vangelo Gesù è chiaro quando spiega l’opera del male: «Quando lo spirito immondo esce dall’uomo, si aggira per luoghi aridi in cerca di riposo e, non trovandone, dice: Ritornerò nella mia casa da cui sono uscito. Venuto, la trova spazzata e adorna. Allora va, prende con sé altri sette spiriti peggiori di lui ed essi entrano e vi alloggiano e la condizione finale di quell’uomo diventa peggiore della prima» (Lc 11,24-26). Gesù in sostanza ci dice che possiamo anche seguire la voce del pastore per un po’; potremmo frequentare la Chiesa o un cammino per uno, due, tre o quattro anni, ma se intanto coltiviamo atti sbagliati, quegli atti sbagliati ci recano una schiavitù che man mano ci trascina verso il male, finché un giorno decidiamo che quel pastore ci ha stufati. E il male, che ha messo radici dentro di noi, trovando la casa un po’ pulita, ha più spazio e comodità per accumulare peccato su peccato.

Non è vero che i nostri peccati non cambiano nulla nella nostra vita, soprattutto quando sono peccati mortali e noi decidiamo di metterli in atto sapendo che sono sbagliati. La Chiesa ce lo insegna così: «Si ha, infatti, peccato mortale anche quando l’uomo, sapendo e volendo, per qualsiasi ragione sceglie qualcosa di gravemente disordinato. In effetti, in una tale scelta è già contenuto un disprezzo del precetto divino, un rifiuto dell’amore di Dio verso l’umanità e tutta la creazione: l’uomo allontana se stesso da Dio e perde la carità. L’orientamento fondamentale, quindi, può essere radicalmente modificato da atti particolari» (VS 70, che cita Reconciliatio et paenitentia 17). Dovremmo veramente attingere alla grazia di Dio nei sacramenti più spesso se fossimo consapevoli della distruzione che il peccato può portare nella nostra vita. Gesù ha un sogno di amore verso di noi, un sogno di eternità: quello di renderci una cosa sola con il Padre.

Oggi ricordiamo un santo, piccolino di statura ma grande di animo, un grande confessore che si è reso, per grazia di Dio, braccia misericordiose del Padre: San Leopoldo Mandic, che non si stancava di chiedere ai cristiani di alimentare l’amore di Dio con atti di bene concreti, dicendo: «L’amore di Gesù, non si stanca di ripetere, è un fuoco che viene alimentato con la legna del sacrificio e l’amore della croce; se non viene nutrito così, si spegne». Ed è proprio vero: se noi ci alimentiamo ai pascoli dove ci conduce il pastore, siamo in cammino verso l’Amore vero, verso la salvezza della nostra vita.

Nessuna salvezza c’è al di fuori di Cristo. Un Cristo crocifisso, non un re che va in giro con la carrozza a salutare i suoi sudditi. E’ bello pensare che si raggiungono i pascoli di Dio attraverso sentieri scoscesi e inospitali, alternando sofferenza e gioia, ma sempre seguendo la voce del pastore buono.