IV domenica del Tempo ordinario

 
 

A cura della Fraternità della Trasfigurazione

Il brano di oggi appartiene a un racconto più ampio in cui Marco narra gli avvenimenti di un’intera giornata trascorsa da Gesù; essa inizia con la preghiera – Gesù si reca, infatti, alla sinagoga – e si conclude nello stesso modo: “Al mattino presto si alzò quando era ancora buio e, uscito, si ritirò in un luogo deserto e là pregava” (Mc 1,35). Tutta la sua giornata è dunque incorniciata dalla ricerca della relazione con il Padre, che orienta ogni suo passo e ogni sua azione. Ecco perché il suo insegnamento si differenzia da quello degli scribi: questi ultimi, infatti, nell’ammaestrare il popolo facevano riferimento a una tradizione, ripetevano norme e precetti stabiliti da altri; Gesù, al contrario, attinge alla vera fonte, al Padre, con il quale entra in rapporto attraverso la preghiera. È questo il motivo vero per cui egli può insegnare “con autorità”; le sue parole, infatti, non nascono da un apprendimento ma da una relazione intima con Dio, dalla comunione con Lui. Ecco una delle ragioni per cui più tardi l’insegnamento di Gesù verrà definito “nuovo”, non nel senso di “recente”, ma di “inedito”, “originale”, di una qualità completamente diversa rispetto alla dottrina degli scribi. È questa la ragione che induce lo spirito immondo a gridare: il suo vociare nasce dalla percezione di questa novità in cui egli coglie un pericolo, una minaccia ed è interessante notare come fra tutti i presenti sia proprio lo spirito immondo a individuare il mistero di Gesù, la sua identità di “Santo di Dio”. Si tratta, però, di una conoscenza totalmente slegata dalla fiducia e, al contrario, abitata dalla diffidenza, dall’aspettativa di azioni malevole compiute dall’altro, in questo caso da Gesù, in cui percepisce la causa della propria rovina. Il Vangelo ci invita, quindi, a esaminare quanto tale sentire sia presente nel nostro cuore perché, se è vero che non siamo abitati da “spiriti immondi”, è altrettanto vero che anche noi possiamo coltivare pensieri ostili, diffidenti, sospettosi nei confronti degli altri. Sono paure pericolose perché, se avvalorate, hanno il potere di avvelenare l’esistenza, proprio come accadde all’uomo liberato da Gesù. Il suo urlo è impressionante, soprattutto se ripensiamo al contesto in cui è collocato: la sinagoga, luogo dove le persone normalmente ascoltano in devoto raccoglimento gli insegnamenti impartiti. Altrettanto impressionante, però, è la forza manifestata dal Signore che, con due ordini netti e lapidari – “taci”, “esci” – ha il potere di liberare quell’uomo dallo spirito impuro. Si apre così uno spiraglio riguardo all’identità di Gesù, in merito alla quale i presenti si interrogano. La gente, infatti, è stupita non solo per la differenza fra il suo insegnamento e quello degli scribi, ma anche per l’autorità che egli dimostra accompagnando alle parole i fatti, nel caso specifico la liberazione dell’uomo da uno spirito immondo. Egli si rivela veramente autorevole: non solo compie ciò che dice, ma lo fa in modo tale che nelle sue parole e azioni è impossibile trovare qualche traccia di autoreferenzialità o di esibizionismo, ma solo gesti che agiscono a favore dell’uomo. Ed è proprio questo a renderlo credibile agli occhi della folla che, se non manipolata o condizionata da interessi personali, sa riconoscere chi è nella verità e opera il bene. Ecco il motivo per cui la sua fama si propaga “subito” e “dovunque” con la velocità e l’ampiezza che caratterizza il diffondersi del bene.