intervista al nuovo Vicario Generale

 
 

riceviamo e pubblichiamo dal Corriere Eusebiano del 15 ottobre 2022

mons. Stefano Bedello, 48 anni, prevosto di Santhià dal 2015, a inizio settimana si è insediato nell’ufficio a lui destinato come nuovo vicario generale. Il passaggio di consegne tra i neo nominati e i loro predecessori è avvenuto nella mattinata di venerdì 7 ottobre, con la condivisione dell’ora media, l’incontro in Curia, la conferma delle competenze, il giuramento previsto e, alla fine, un momento conviviale fraterno.

Cos’ha pensato quando l’Arcivescovo le ha proposto questo incarico?

«Innanzitutto mi ha sorpreso. Mons. Arnolfo mi ha chiesto di incontrarci nella mia parrocchia e, un pomeriggio, è venuto a Santhià. È stato un dialogo diretto, informale e spontaneo. Mi ha espresso il suo desiderio di rinnovare gli incarichi e che aveva pensato a me come vicario generale. Non è retorico dire che mi sono sentito spiazzato di fronte a una prospettiva inattesa. E nei primi giorni ero frastornato. Poi mi sono chiesto come partire per incarnare il mio sì nella concretezza».

L’incarico di vicario generale è delicato: richiede ascolto, accompagnamento, sostegno, individuazione delle difficoltà, appianamento degli ostacoli, disponibilità, pazienza, sospensione del giudizio per decidere al meglio…

È pronto a scendere in campo?

«Dal giorno in cui l’Arcivescovo mi ha proposto di svolgere questo servizio ho percepito subito che il Signore non voleva “farmi onore”, ma associarmi di più alla sua croce. Perché il mio impegno richiede cuore e passione in senso teologico. La Chiesa di oggi non è più totalitaria:  quando si riceve un incarico di responsabilità come quello affidatomi non si intraprende un… cursus honorum – spiega sorridendo mons. Bedello – La Chiesa in cui viviamo oggi richiede una crescita e gli oneri spirituali assunti necessitano di una fede fortemente radicata in Cristo. Che, ogni volta, ci chiama a seguirlo. Mi vengono in mente i discepoli che chiedono al Signore: “Aumenta la nostra fede!” (Lc 17,5-6). Gesù non risponde con una formula, ma chiede di amare ancora di più, servendo. Questo il senso del ministero che l’Arcivescovo mi ha chiesto di svolgere».

Di che cosa ha bisogno la diocesi eusebiana oggi? 

«Il mio sì ha fatto seguito proprio dopo essermi confrontato con le priorità a cui rispondere, in un tempo non facile: la Chiesa e la società escono con fatica dalla pandemia per entrare nelle secche di una crisi economica preoccupante. La prima risposta che mi sono dato è il desiderio di recuperare le relazioni, cercare di azzerare le distanze, a volte ideologiche, ma soprattutto la solitudine e l’isolamento imposti dal Covid, che si aggiungono all’individualismo già in atto. Si tratta di riavvicinare la Chiesa alla nostra gente, la curia ai nostri preti, diaconi e laici nel cammino sinodale, che richiede proprio una capacità di relazione più profonda e sincera».

Quali sono le priorità del suo mandato e come intende agire?

«Il primo passo, approfittando dell’imminente costituzione del consiglio  pastorale diocesano, sarà proprio quello di rafforzare la vicinanza e la sinergia  tra gli uffici pastorali della Curia, di cui sono moderatore, e le singole comunità pastorali nei tre settori della liturgia, della catechesi e della carità. Perciò continuerò a mantenere la direzione dell’Ufficio liturgico diocesano».

A questo proposito ricordiamo che dal prossimo autunno, la Conferenza episcopale piemontese ha realizzato una piattaforma regionale per la formazione liturgica di clero e laici, facendo riferimento alla nuova edizione del Messale, frutto della riforma conciliare.

Quali sono gli obiettivi da raggiungere?

«Ogni diocesi potrà frui-re di un portale dedicato da cui attingere contenuti tematici per valorizzare la celebrazione eucaristica: lettori, ministranti, cantori, ministri straordinari della Comunione, per valorizzare l’accoglienza e l’impegno missionario. In diocesi promuoverò, a livello laboratoriale, incontri su argomenti specifici nelle varie comunità pastorali».

Cosa la incoraggia e la sostiene per mettersi in gioco come vicario generale?

«Al di à del senso di sproporzione, mi incoraggia la certezza che se il Signore mi chiede questo servizio mi dà anche la forza di lavorare di più e con un unico obiettivo: rendere più bella e viva la nostra Chiesa nella gioia e testimoniare il vangelo nella quotidianità. Soprattutto in questo momento storico segnato dalla guerra. Il primo passo, irrinunciabile, è coltivare la pace nel nostro cuore».

Un auspicio per il futuro a breve?

«Inizia per me un periodo impegnativo perché, oltre all’incarico di vicario generale, dovrò fare i conti con la mia comunità di Santhià, dove opero da sette anni, a San Germano e Salasco, di cui sono parroco dal 2019. Ho chiesto alla mia gente di supportarmi con la preghiera e di comprendere la possibilità di essere meno presente. Senza perdere la determinazione di guidare le parrocchie in tutte le loro molteplici attività, che ho visto crescere e rafforzarsi nel tempo».

Proprio come parroco, cos’ha ricevuto dalla sua comunità pastorale che nutre il suo cuore e le consente di guardare con fiducia al nuovo incarico?

«In questi anni ho avuto profonde gratificazioni, abbiamo raggiunto obiettivi significativi, non senza qualche fatica. Un motivo di grande consolazione, proprio in questi giorni, sono stati i giovani del nostro oratorio: dopo due anni di pandemia e di isolamento, sono tornati a impegnarsi generosamente come animatori. La settimana  scorsa ho avuto una sorpresa inaspettata: all’incontro con i ragazzi, tra quelli del primo anno le new entry erano oltre la trentina! Un segnale di fiducia  non solo nel parroco ma nella Chiesa. Come vicario generale, vorrei estendere l’attenzione ai giovani a livello diocesano,  coordinando i vari uffici pastorali, chiamati a collaborare per aiutarli a scoprire i propri talenti per crescere, formarsi, intessere rapporti umani sinceri e duraturi e sentirsi protagonisti nei futuri “cantieri” del cammino sinodale». Perché il futuro sono proprio loro.«Sono certo – conclude con determinazione e ottimismo mons. Bedello – di poter contare sulla competenza degli uffici diocesani per proseguire con loro questo itinerario di comunione».

Ilde Lorenzola