III domenica tempo ordinario Mt 4,12-23

 
 

– Gesù chiama a sé  –

a cura di Mons. Alberto Albertazzi –

 

Gesù sente che Giovanni è finito in galera e si allontana a Cafarnao. Per essere più al sicuro? Non si sa e neppure interessa.

L’evangelista, che scrive con istinto teologale, vede in questo cambio di residenza l’adempimento di una profezia (Is 8,23-9,1) che annuncia grande luce per quella zona: portata non dall’Enel, ma da Gesù che è «luce del mondo» (cfr. Gv 8,12; 12,46). Egli sintetizza il suo manifesto programmatico, fotocopiando Giovanni Battista (Mt 3,2): «Convertitevi perché il regno dei cieli è vicino».
Il taglio liturgico della lettura potrebbe fermarsi qui, ma si perderebbe qualcosa di molto importante: Gesù comincia a rastrellare attorno a sé i primi discepoli. Abbiamo infatti due episodi vocazionali quasi in parallelo, che fruttano due coppie di fratelli alla sequela di Gesù: si tratta di Pietro e Andrea, Giacomo e Giovanni. Pescatori tutti e quattro, ma destinati a lasciare i pesci per gli uomini. Ai primi due Gesù dice, infatti, con tono perentorio: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini».

E i quattro lasciano l’attività ittica per intraprendere un nuovo tipo di pesca, che per il momento rimane per loro enigmatica.
È interessante censire le varie tipologie vocazionali di cui è generosa la Bibbia, partendo dall’Antico Testamento. Abbiamo: vocazioni a risposta immediata e taciturna come quella dei nostri quattro e di Abramo (Gen 12,1-4); vocazioni sofferte, nelle quali al chiamato quasi si estorce la risposta, come quella di Mosè (Es 3,7-22) e anche un po’ quella di Geremia (Ger 1,4-10); sembra, infatti, che gli illustri personaggi non volessero grane; vocazioni arraffate al volo, come quella dell’intraprendente Isaia (Is 6,8); vocazioni “a sgambetto” come quella di Paolo verso Damasco (At 9,3-8); il persecutore cade a terra e si capovolge rispetto a Cristo: non più persecutore ma apostolo di elevatissimo pedigree; e non mancano vocazioni non andate subito a buon fine: come quella del pigro Giona (Gn 1,1-3), che si adatta controvoglia alla chiamata di Dio, previo naufragio; e quelle svanite del tutto, come accadde al famoso “giovane ricco” dei Vangeli (Mt 19,16-22).
Questa domenica sarebbe dunque ideale per la giornata del seminario. Non ho mai capito perché la si faccia ostinatamente la domenica prima, quando la terza del tempo ordinario offre sui tre anni abbondante pascolo vocazionale.
Ma torniamo a noi e ragioniamo sull’invito alla conversione squillato da Gesù. La parola “conversione” forse ci fa venire in mente l’inversione a U, ossia il cambio di rotta a 180 gradi, in qualche modo implicito nel verbo ebraico shub (cfr. Zc 1,4) denotante il dietrofront. Il greco dei vangeli usa il verbo metanoèo, che propriamente significa “spingere più in là il pensiero”, un po’ come il nostro “pensare alla grande”.  Nel shub abbiamo la rotta radicalmente sbagliata da doversi radicalmente cambiare. Metanoèo invece sembra dire: «siete partiti col piede giusto, ma dovete spingervi più avanti», evidentemente per accogliere il patrimonio di verità che sta per esplodere dal Vangelo.
L’esempio che ci permette di capire è ancora quello del giovane ricco, partito benissimo: «Maestro, che cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?» (Mt 19,16). Sappiamo poi come si sono messe le cose: quando Gesù alza il prezzo invitandolo a pensare più in là, ossia oltre i comandamenti, fino a sbarazzarsi dei suoi beni, il giovincello non ci sta e se ne parte triste perché è molto ricco. Una conversione e una vocazione sfumate. Peccato.
Intanto abbiamo scoperto che il primo requisito vocazionale è la volontà di allineare il proprio pensiero a quello di Gesù.