Cristo, l’unico salvatore del mondo – II domenica del tempo ordinario

Dio si è fatto uomo per offrirci la vita

Lo sguardo e l’indice del Battista indicano Gesù alla folla sulle rive del Giordano: «Ecco l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo»; e manifestano la missione di Gesù come l ́agnello sacrificale che toglie il peccato del mondo; evocano l’immagine isaiana del sacrificio pasquale: «Come agnello condotto al macello, come pecora muta di fronte ai suoi tosatori» (Is 53,7). Dio si è fatto uomo non solo per vivere tra noi, ma per offrire la sua vita per noi. E l’offerta dell’“Agnello” è destinata a vincere l’onda violenta dell’egoismo, che insanguina la storia dell’umanità, con il cumulo crescente di colpe personali e sociali, come fiume in piena che nulla sembra poter arginare. La comunità cristiana delle origini, accogliendo la testimonianza di Giovanni su Gesù come «agnello di Dio che toglie il peccato del mondo», voleva esprimere la propria fede in Cristo liberatore e salvatore. Altrettanto accade oggi in ogni celebrazione dell’ Eucaristia: prima di ricevere il corpo di Cristo, il celebrante e la comunità dei credenti pronunciano tre volte questa invocazione. Ciò fa pensare a quanto il mondo abbia bisogno di essere liberato da quella corrente di morte che è il peccato.

Ancora sulle rive del fiume Giordano

La festa del battesimo di Gesù, celebrata la scorsa settimana, ci ha introdotti nel tempo ordinario; il Vangelo di questa domenica ci riporta ancora in quelle stesse acque, per farci ripartire dal battesimo come l’inizio di tutto, non solo della missione di Gesù, ma anche della nostra: quasi un invito a ritornare ogni domenica alle sorgenti della nostra identità cristiana, rinnovata nella pasqua dell’Agnello. Il battesimo rinnova la certezza di essere dei salvati, figli di Dio; ci rende consapevoli del dono grande di appartenergli, ci investe della dignità di profeti per annunciare la gioia della liberazione e della salvezza operata da Gesù.

Ma quale salvezza?

La domanda è ineludibile, soprattutto nel contesto della nostra cultura distratta. La mentalità dominante, ostentata dai massmedia, ha un altro modo di percepire la salvezza. L’uomo della postmodernità sembra convinto di essere padrone del suo destino; non attende più la salvezza dall’alto; cerca di costruirsela con le sue stesse mani. Il senso della “vita come pellegrinaggio terreno” verso una salvezza eterna pare scomparso dal gergo popolare. Non mancano, però, segnali di una nostalgia di Dio. Forse la società sta accorgendosi di aver avuto troppa fretta nel proclamare che Dio è inutile. Ci stiamo rendendo conto che lo stesso progresso tecnico è ambiguo, per ché aperto sia al bene che al male, sia alla salvezza come alla perdizione. L’esperienza drammatica di due guerre mondiali, i campi di sterminio, le paurose devastazioni delle bombe atomiche, l’inquinamento, le guerre fratricide, le catastrofi naturali, il diffuso femminicidio, la disperazione di tante famiglie distrutte nelle relazioni più vere ripropongono l’incubo di un umanesimo fallimentare; sembra che il problema di una “salvezza” abbia dimensioni più vaste e più profonde.

L’eterno nel tempo

Ancora una volta la liturgia della Parola, ricorda che l’umanità ha soprattutto bisogno di un Salvatore; ha bisogno di testimoni capaci di rendere presente l’Eterno nel tempo. “Dio ci ha creati per conoscerLo, amarLo, servirLo in questa vita e per goderLo eternamente nell’altra”. Questa limpida verità, imparata a memoria da bambina, mi ha donato la gioia di vivere e di percorrere con entusiasmo le vie del mondo per testimoniare l’amore di Dio nel servizio ai fratelli.