Cristo, luce nelle nostre tenebre – IV domenica di Quaresima

 
 

Due incontri che salvano
Domenica scorsa, terza di quaresima, la liturgia ci ha regalato una splendida icona di un Dio alla ricerca dell’uomo e la risposta di fede che ha cambiato la vita di una donna di Samaria al pozzo di Sicar.
La pagina del Vangelo di questa domenica ci propone ancora l’icona di un incontro salvifico: Cristo che ridona la luce della vista a un cieco nato e lo conduce alla risposta di fede.

«Gesù, passando, vide un uomo, cieco dalla nascita». Ancora una volta Dio coglie per primo la miseria dell’uomo. Ciò non manca di provocare i discepoli: «Rabbì, chi ha peccato? lui o i suoi genitori?». «Non c’entra lui e neppure i suoi genitori», risponde il Maestro. E così la parola di Gesù è una luce folgorante che separa il peccato personale dalla malattia e dalla sofferenza. È la vera premessa al gesto che Egli sta per compiere: un segno che manifesta le “opere di Dio”. Come sempre il miracolo non costringe a credere: è solo un segno offerto alla libertà dell’uomo, di fronte a cui sono possibili risposte diverse. Dio agisce sempre così: offre la vita piena, ma lascia liberi di accoglierla o rifiutarla.

Il racconto è articolato e preciso; l’evangelista Giovanni focalizza la missione di Gesù come «luce del mondo che illumina ogni uomo», colui che toglie il velo dagli occhi e restituisce al cieco la piena dignità, permettendogli di vedere lo splendore delle cose e di gustare il sapore nuovo della vita. Inizia così per l’uomo che ha ricuperato la vista un cammino nella comprensione della figura di Cristo. Innanzitutto dichiara davanti ai giudei che «Gesù è un profeta, che viene da Dio»; e per quest’affermazione pubblica viene rifiutato, emarginato: i genitori stessi prendono le distanze. Ma Gesù si presenta a lui e si manifesta. Solo allora il “nuovo vedente” incontra con occhi diversi colui che l’ha guarito; e inizia un cammino di fede con il cuore pieno di gratitudine. Il cieco credette in Gesù “luce del mondo”: si prostrò innanzi a lui e “lo adorò”. L’adorazione è la misura più alta della fede.

Dio per primo cerca l’uomo
«Ora, o fratelli, i nostri occhi sono curati con il collirio della fede. Anche noi siamo nati ciechi da Adamo e abbiamo bisogno di essere illuminati da lui. L’uomo, cieco dalla nascita, è dunque simbolo di tutta l’umanità che ha bisogno di incontrare Gesù, che ha proclamato la propria identità come luce» (Sant’Agostino).
Incontrare il Signore significa incontrare l’amore che dona e cambia il senso della vita. Ma solo la fede in lui apre i nostri occhi. La dinamica della fede è chiara: Dio cerca tutti, anzi crede nell’uomo, perché l’uomo creda in Lui; viene a cercarci mentre siamo fragili e incoerenti, ci solleva per offrirci amore e dignità. La fiducia di Dio nell’uomo precede sempre la fiducia dell’uomo in Dio.
Signore, che io veda!

Il cieco non vede, ma sente il tocco della mano; avverte la voce di Gesù che gli ordina di andare a lavarsi nella piscina di Siloe. Nell’episodio non c’è grido di implorazione da parte del cieco, ma solo gli occhi aperti di Gesù su di lui: «Passando vide un uomo cieco dalla nascita».

Lo sguardo di Gesù è il dono della speranza anche per la nostra quaresima. Egli è vicino a chi ha il cuore ferito, a chi è nella malattia, nella prova, a chi non intravede un futuro sereno e “tocca” ciascuno per riportarlo alla luce.
Il discepolo, che con il battesimo è passato dalle tenebre alla luce, è chiamato a diventare, a sua volta, fonte di luce per i fratelli. Papa Francesco, nell’enciclica Lumen fidei, evocando la presenza dei cristiani nel mondo, afferma che essa costituisce una scia di luce e di bellezza nella vita della società: impegno incoraggiante per noi.