Anatomia Orante

 
 

Siccome siamo in trepidante attesa della terza edizione del Messale Romano redatto secondo le direttive nate dal Concilio Vaticano II (1962-65), mi è venuta voglia di parlarne un po’. Più che considerarlo nel suo complesso – di cui non potrei perché non l’ho ancora visto – mi soffermo su un testo presente in tutti i formulari di Messa: la colletta. E’ quella breve preghiera di inizio che termina, quasi invariabilmente, con le ben note parole: 

per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio, che è Dio, e vive e regna con te, nell’unità dello Spirito Santo, per tutti i secoli dei secoli.

La si chiama colletta non perché sia imparentata con la questua, ma perché raccoglie e ufficializza le intenzioni di preghiera di tutti i fedeli, affiorate in loro nel breve silenzio che segue l’invito “preghiamo”, pronunciato dal celebrante: la preghiera comunitaria non può mai fare a meno della concentrazione individuale. Ecco ora per esteso, a mo’ di campionatura, la colletta della XXI domenica del tempo ordinario, quest’anno il 22 agosto:

O Dioche unisci in un solo volere le menti dei fedeli, concedi al tuo popolo di amare ciò che comandi e desiderare ciò che prometti, perché fra le vicende del mondo là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia. 

Questa preghiera nasce in latino, e comincia a battere colpi nel VII/VIII secolo. E’ molto breve, come in genere lo sono tutte in ossequio al galateo orante sancito da Gesù (cfr Vangelo di Matteo 6,7), scrupolosamente accolto dalla nostra liturgia romana. Più verbose sono le liturgie orientali, e lo era pure l’ormai defunta liturgia Visigotica.  

Ho evidenziato in neretto le parole di snodo concettuale che ci consentono di ricostruire l’anatomia orante di questi testi. Vediamole una alla volta.

  1. O Dio. La preghiera è rivolta solo a Dio Padre, secondo le plausibili indicazioni date da sant’Agostino in un Concilio di Cartagine del 393.
  2. che. Introduce una qualifica del destinatario della preghiera, che in questo caso è un coagulante: unisce infatti in un solo volere le menti dei fedeli. Un po’ ottimistico ma di impatto alquanto coinvolgente.
  3. Concedi al tuo popolo. Ecco la richiesta, di raffinatissimo spessore spirituale: amare ciò che comandi e desiderare ciò che prometti. Bellissimo! Amare la volontà di Dio: non soltanto farla, come si chiede nel Padrenostro, ma eseguirla amandola per il solo motivo che è di Dio.

E desiderare ciò che prometti. Dio ha promesso ai suoi fedeli una cosa sola: l’ingresso definitivo e irreversibile nel suo regno (=Paradiso).

  1. Perché. Introduce il motivo della richiesta. Fra le vicende del mondo, nelle quali siamo coinvolti se non addirittura travolti: questa preghiera non perde di vista la nostra faticosa e talora tormentata esistenza su questo pianeta. Ma si volta pagina velocemente verso liete prospettive: là siano fissi i nostri cuori dove è la vera gioia. E ci si ricongiunge in tal modo a ciò che Dio promette.

Questa preghiera, al pari di tutte le altre, è veicolata a Dio per intervento “dell’unico mediatore fra Dio e gli uomini” (1 Lettera di Paolo a Timoteo 2,5). Ossia “Per il nostro Signore Gesù Cristo”, di cui si specifica l’inserimento trinitario, rinsaldato dallo Spirito Santo terminale.

Ecco allora lo scheletro di questa preghiera, riscontrabile in moltissime altre: Dio-che-concedi-perché. Questa anatomia orante è assai ricorrente nel Messale latino e nella sua traduzione italiana del 1983; comprese le preghiere alternative nate in italiano, ma con la medesima struttura sintattica degli equivalenti testi latini. 

Ho cercato di spiegare, forse in modo un po’ pedante, come sono congegnate queste preghiere tipiche della nostra liturgia: dicono molto con efficace economia di linguaggio. Non per nulla gli studiosi qualificano sobrio lo stile orante romano. Speriamo, e tutto lo lascia supporre, che questa affascinante sobrietas si conservi pure nel Messale 2020.

Ancora una cosa. Talora subito dopo il nome di Dio ricorre un’annotazione che ne qualifica – per così dire – il temperamento e certe sue attitudini “congenite”. Lo si vede nella colletta di oggi, 27 agosto memoria di santa Monica, madre di sant’Agostino il cui ricordo liturgico è domani. Questa madre accorata ottenne la conversione al Vangelo dell’illustre figlio con occhi non asciutti. Onde la colletta di santa Monica ha questo inizio:

O Dio, consolatore degli afflitti, che hai esaudito le pie lacrime di santa Monica […], donaci una viva contrizione dei nostri peccati …

Si tratta di una occasionale esuberanza orante, non rarissima, e non lesiva della sobrietà stilistica della preghiera liturgica alla romana.