6ª domenica tempo ordinario Mc 1, 40-45

 
 

– a cura di Mons. Sergio Salvini –

L’abbraccio al reietto guarisce prima noi –

Ovunque il lebbroso è l’emarginato per eccellenza. Un autentico muro si frapponeva tra i sani e i colpiti (per molti anche colpevoli!) dalla lebbra. E Gesù? Vien meno alla prescrizione: non solo si accosta, ma addirittura li tocca! La sua sola presenza abbatte ogni separazione. Gesù li guarisce non solo per pietà, ma perché quella sarà innanzitutto la sua condizione di crocifisso.

Lo aveva visto, già da lontano, il profeta Isaia contemplando il servo di Jahvé: «Non ha apparenza né bellezza… disprezzato e reietto dagli uomini… come uno davanti al quale ci si copre la faccia… e noi lo giudicavamo castigato, percosso da Dio e umiliato». Ecco la chiave di comprensione anche del miracolo della guarigione del lebbroso: la croce e la resurrezione di Gesù.

La guarigione dalla lebbra era considerata alla stregua della resurrezione di un morto, un’azione che solo Dio poteva compiere. Chiarificatrice è la reazione del re d’Israele alla lettera del re arameo che lo prega di guarire la lebbra del suo ministro Nàaman.
Gesù impone il silenzio al lebbroso: «Guarda di non dir niente a nessuno!». Perché tacere un miracolo? Non serve proprio quello a diffondere la fede? Evidentemente, secondo la logica di Gesù, non è così. Il miracolo è certamente un mezzo utile, seppur straordinario, ma non indispensabile all’annuncio della Parola di Dio. Non per nulla ancor più grande, nel Vangelo, è il paradosso della salvezza che viene dalla croce. Il gesto di Gesù è in vista di quella eloquenza al contrario: dalla sua morte noi siamo guariti.

Anche per un tempo come il nostro – ma quale epoca è stata diversa? – così bramoso di segni straordinari, di miracoli strabilianti e di interventi divini che sospendano tutte le leggi della natura, valgono le parole di Agostino, il vescovo di Ippona che istruiva il suo popolo dicendo: «Noi, che in così gran numero abbiamo creduto, quali miracoli abbiamo visto? Abbiamo udito il vangelo, abbiamo aderito al vangelo e per mezzo del vangelo abbiamo creduto in Cristo: non abbiamo visto alcun prodigio, non pretendiamo alcun prodigio».
È una sfida chinarsi e abbracciare ogni volto ripugnante, ogni lebbra che sfigura il corpo e la dignità degli uomini e delle donne del nostro tempo. Cambiano le circostanze e le condizioni, ma il Vangelo si diffonde sempre allo stesso modo: se c’è qualcuno disposto a salire su una croce. Solo allora il nostro avvicinarci e “toccare” compirà il miracolo della guarigione. A guarire però, prima ancora che il male dell’altro, saranno i nostri occhi, finalmente capaci di riconoscere, in ogni altro, il proprio fratello.
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«Voglia il cielo che alla fine della nostra avventura umana, alla fine e alla conclusione della nostra vicenda personale, Cristo, giudice supremo della storia, ci rivolga quelle commoventi e beatificanti parole: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo”, perché ero “lebbroso” ed avete fatto di tutto per sanarmi, per farmi ritrovare la piena dignità, per guarire non solo le piaghe della mia pelle, ma per rimarginare le ferite del mio cuore lacerato dalla solitudine, per reinserirmi in seno alla comunità, per ridarmi la serenità e la gioia di vivere. Venite!» (Paolo VI).