4ª Domenica Anno A

 
 

la Comunità della Trasfigurazione commenta il Vangelo di Mt 5,1-12a

Gesù venuto ed è presente in mezzo a noi

Domenica scorsa abbiamo ascoltato l’annuncio della venuta del Regno, l’avvicinarsi del tempo in cui il mondo non sarebbe più stato in potere del male, della discordia, dell’ingiustizia; al suo posto avrebbe regnato Dio, grazie alla venuta del Figlio, portatore di bene, di pace e di bontà. Ed è proprio perché lui, Gesù, è venuto ed è presente in mezzo a noi che i valori di questo mondo si capovolgono: tutto quanto qui può apparire doloroso – il pianto, l’ingiustizia, la persecuzione – o faticoso – uno stile di vita misericordioso, mite, puro, che agli occhi del mondo appare perdente – si trasforma e, grazie a lui, diventa fonte di beatitudine.

È questo quanto Gesù proclama, seduto nella classica posizione da maestro, dopo essere salito sul monte, luogo per eccellenza dell’incontro con Dio e con il suo insegnamento. Come un novello Mosè egli ammaestra i suoi, che gli si fanno vicini, e le folle. Il suo non è prima di tutto un messaggio moralistico, che invita ad assumere determinati atteggiamenti per ottenere qualcosa in cambio o raggiungere la virtù. Al contrario, le parole di Gesù dilatano il cuore, sono un annuncio e un augurio di felicità, un invito a cambiare prospettiva nel modo di considerare la vita, nostra e altrui, e la realtà circostante. Possiamo così considerarle come una sorta di autoritratto del Signore, in cui vengono descritti i suoi gusti, le scelte, le attese, l’atteggiamento di fronte all’esistenza.

Nello stesso tempo esse rappresentano anche una sorta di biografia del discepolo che, guardando a Gesù, impara un inedito modo di vivere, acquisisce nuovi valori e si sente confortato e rassicurato se, di fronte al dolore e all’ingiustizia, con perseveranza e coraggio continua ad aprire il cuore alla speranza.

Chi vorrà seguirlo troverà dunque in queste otto beatitudini alcune indicazioni concrete in merito al significato della conversione come trasformazione della vita a cui siamo stati invitati domenica scorsa; la prospettiva della pericope di oggi, tuttavia, l’orizzonte davanti al quale essa si apre non è il sacrificio fine a se stesso, bensì la beatitudine, la felicità già possibile fin da ora, al di là delle prove di cui è costellata la nostra esistenza.

L’elenco delle otto beatitudini si apre facendo riferimento ai poveri di spirito, a cui è promesso il regno dei cieli. Ovviamente qui Gesù non si riferisce a coloro che vivono nella miseria, spesso a causa della cecità e durezza di cuore dei fratelli. La povertà di spirito è piuttosto un atteggiamento interiore, che tuttavia dovrà necessariamente incarnarsi in forme concrete: i comportamenti di chi, diversamente dal ricco stolto della parabola, non ammassa i propri beni, di qualsiasi tipo essi siano – materiali, affettivi, intellettuali – non li trattiene, ma li lascia andare, li condivide. Il povero di spirito è, dunque, colui che nel pensare, nel sentire e nell’agire ricalca il modo di essere di Gesù, il quale «da ricco che era si è fatto povero» (2Cor 8,9) non tanto materialmente, ma scegliendo la via dell’incarnazione e della croce.

La prima beatitudine, che riassume anche tutte le altre, descrive quindi il modo di esistenza del Figlio, di colui che vive fidandosi e, di conseguenza, non ha bisogno di aggrapparsi a nulla, di trattenere nulla e può vivere da povero nella certezza che niente gli verrà a mancare, perché la sua vita è custodita nelle mani del Padre.