3ª domenica tempo ordinario Mc 1, 14-20

 
 

– a cura di Mons. Sergio Salvini –

Convertirsi è affidarsi a Dio  –

La “voce” che grida nel deserto viene imprigionata… zittita. Si conclude il cammino del Battista, inizia quello di Gesù. Al Giordano lo Spirito su di lui era sceso, si era posato, è rimasto!
Le prime mosse svelano lo stile, il senso dell’agire: Gesù è un maestro ben consapevole di quel che vuole, “predica la buona novella del Regno” invitando tutti a convertirsi.  L’inizio del Regno è inizio di un’umanità autentica, è inizio dell’unico, vero umanesimo per la riuscita piena d’ogni uomo.
Il Regno è una convocazione diretta, una chiamata da parte di Dio: «Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi». È Dio in persona che invita e richiede l’adesione per una libertà maggiore, aperta a una opera più importante. Una missione che dilata la vita, proponendo nuove prospettive. “Seguire” Cristo implica non tanto la ricerca della sua dottrina quanto della sua persona: infatti egli farà “vita comune” con i discepoli, instaurando con loro una perfetta fusione di sentimenti e di pensieri fino a chiamarli «amici». Ancora, “seguirlo” significa ripercorrere il suo stesso itinerario che arriva fino alla croce: «Se qualcuno vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua».
È evidente che i primi discepoli non conoscevano ancora il senso capovolgente della “sequela” di Cristo, ma la risposta pronta e generosa già dimostra la loro disposizione d’animo: «Ed essi subito, lasciate le reti, lo seguirono… Ed essi subito, lasciata la barca e il padre, lo seguirono». C’è come una progressione in questo “abbandonarsi” dei futuri apostoli a Gesù: prima le reti, poi la barca, infine il padre. È il distacco da tutto, anche dalla famiglia, e più ancora da se stessi: «rinneghi se stesso». Tutto questo non si può fare, se la “conversione” non opera un rovesciamento totale del nostro essere, creando in noi un’esistenza diversa; perché convertirsi è accendersi.
È soltanto una storia del passato quella che Marco ci narra in questo brano, oppure una proposta di vita che egli offre a tutti i lettori del suo Vangelo?
È chiaro che, descrivendo quella prima chiamata, egli intende proporre anche un modello di risposta al fondamentale appello alla fede e a tutti gli altri infiniti appelli che Cristo rivolge agli uomini: i primi quattro discepoli diventano così l’esempio concreto di come ogni credente debba lasciarsi “illuminare” da Cristo, “convertendosi” alla sua “sequela”. Operai di una umanità nuova che è il Regno di Dio, l’inizio di «cieli nuovi e terra nuova» nei quali si consuma tutto il cammino dell’umanità e del cosmo. Questo è l’essere cristiano: l’umano con l’innesto del divino, il tempo nell’eterno o anche la professione elevata a missione.  Quei primi discepoli, da modesti e dimenticati pescatori del mare di Galilea, sono diventati le colonne di un edificio che ormai si protende nell’eternità.
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“Convertirsi” significa non chiudersi nella ricerca del proprio successo, del proprio prestigio, della propria posizione, ma far sì che ogni giorno, nelle piccole cose, la verità, la fede in Dio e l’amore diventino la cosa più importante.