3ª Domenica Anno A

 
 

la Comunità della Trasfigurazione commenta il Vangelo di Mt 4,12-23

Ogni giorno Gesù invita anche a noi a seguirlo

Gesù lascia Nazareth e inizia la sua predicazione nel momento in cui viene a conoscenza dell’arresto di Giovanni. Tale evento drammatico dà il via a importanti e dolorosi cambiamenti nella sua vita. Lasciare Nazareth, infatti, non significa unicamente cambiare residenza; al contrario, in queste due parole è sintetizzata la rinuncia a un mondo di affetti, soprattutto al legame con la Madre, il cui abbandono sarà stato molto doloroso per entrambi.

Questa concomitanza di eventi mette in risalto non solo la necessaria successione, ma anche l’assenso di Gesù a un destino comune. Giovanni è precursore nell’annuncio e poi per la radicale adesione al volere di Dio, che può concludersi con una fine drammatica. Iniziando la sua predicazione proprio in questo momento, Gesù accetta il suo destino di “Agnello di Dio”.

In Galilea, luogo di frontiera dalla popolazione eterogenea e disprezzata dai giudei, egli pone la sua dimora, lasciandoci così comprendere di essere venuto per tutti, nessuno escluso. La luce che, come Isaia aveva predetto, sarebbe brillata in quel territorio ora – grazie alla sua presenza – splende di nuovo e non solo per quella popolazione, ma per ogni creatura.

L’annuncio di Gesù è innanzitutto un annuncio gioioso: chi sta per regnare in questo mondo non è più il male, non la discordia o l’inimicizia, ma Dio, portatore di pace, giustizia e di ogni forma di bene. La predicazione riguarda qualcosa che, grazie alla sua venuta, sta per compiersi, può finalmente realizzarsi; per potervi pienamente partecipare è tuttavia necessario un cambiamento di rotta, un’adesione piena a Colui che annuncia questo Regno: tale movimento interiore porta il nome di conversione.

Una trasformazione della vita che nel brano di questa domenica si incarna nella decisione dei quattro discepoli, di cui si dice che lasciarono le reti, e in seguito anche la barca e il padre, per seguirlo. Le reti e la barca rappresentano il lavoro, la persona del genitore rimanda agli affetti familiari. Affetti e lavoro sono le due realtà più preziose per l’essere umano: il benessere in questi due ambiti dell’esistenza costituisce una sorta di certificato della maturità personale. Lasciare tutto e farlo “subito”, come sottolinea per ben due volte il vangelo, mette innanzitutto in risalto il fascino di Gesù, la sua capacità di attrazione, certamente diversa rispetto a quella degli idoli del nostro tempo. Sarà stata forse l’autorevolezza con cui egli rivolse loro l’invito a seguirlo o l’irradiazione del mistero che promanava dalla sua persona – la luce di cui parlava Isaia – a convincere i primi discepoli ad andare dietro al Signore con una sorprendente rapidità. Da parte sua Gesù, vedendo quegli uomini al lavoro, ne avrà colto l’impegno, l’operosità, il modo responsabile con cui affrontavano l’attività quotidiana: tutti talenti che potevano essere messi al servizio del Regno.

Anche a noi, ogni giorno, il Signore rivolge l’invito a seguirlo; non si tratta, come per Pietro e gli altri, di abbandonare casa e lavoro; anche noi, però, siamo invitati a lasciare, ma in modo diverso. Chiamandoci, Gesù ci sollecita a non usare i talenti o le realtà preziose della nostra esistenza in funzione di noi stessi, per il nostro benessere, ma di utilizzarli per il Regno diventando pescatori di uomini, persone che vivono il vangelo e, con il loro modo di essere e di agire, inducono altri a seguire il Signore.