Mons. Antonino Guasco nella giornata dedicata al Seminario fa il punto sulla realtà odierna dell’essere prete oggi

 
 

Sappiamo tutti che il seminario della nostra diocesi è un luogo pluridimensionale: in esso ci sono gli uffici di curia, alcuni saloni per conferenze, biblioteche, vi abitano alcuni sacerdoti – e tra loro padre Enrico Masseroni, arcivescovo emerito – suore, due ragazzi inseriti nella comunità seminaristica di Novara; c’è la cappella per la preghiera e gli incontri giovanili.
Cosa proporre, dunque, per questa giornata?
Il primo aspetto riguarda la dimensione economica. È il segno di una partecipazione delle parrocchie che non si limitano, come avveniva un tempo, a supportare il luogo proprio della formazione dei seminaristi, ma si aprono al sostegno di un luogo diocesano posto al servizio della Chiesa e della società vercellese. È una responsabilità ecclesiale.
Il secondo aspetto riguarda la dimensione vocazionale. Ho aperto in questi giorni l’ultimo numero della rivista Jesus, che riporta un profilo curioso riguardante i seminaristi.
Il ruolo del prete in Occidente, e in Italia in particolare, rimane di assoluto rilievo anche in una società disincarnata e distante dalla sfera religiosa. La scelta vocazionale è più personale  e meno dipendente dall’aria che si respirava una volta: in  famiglia, nella partecipazione alla liturgia come ministranti, nei gruppi e nelle associazioni di ispirazione cattolica; è  in calo anche la frequenza alla vita parrocchiale, divenuta sporadica. Questo constatiamo tutti nella realtà. Inoltre si nota che la scelta del sacerdozio avviene sempre più avanti negli anni (25-35). È proprio un altro mondo. Quali  possono essere allora le strategie per una pastorale vocazionale?
Innanzitutto dare molto peso agli incontri personali occasionali, in cui il giovane possa percepire la nostra marcata passione per il Signore e per la Chiesa.
In secondo luogo proporre tempi forti di scoperta della fede, singolarmente o comunitariamente, a  piccoli gruppi, nei quali la persona è ancora in primo piano, favorendo il dialogo individuale con una guida.
Terzo, l’inserimento  coraggioso dei giovani  in opere di carità, di servizio pastorale e missionario.
Quarto, la testimonianza di sacerdoti che vivono in armonia e in fraternità di vita; rendendo visibile la comunione radicata in Cristo e dimostrandosi disponibili all’accoglienza e all’ascolto.
Infine riservare un tempo prolungato alla preghiera, magari in un monastero.
Tutto questo ci interpella personalmente come presbiteri, guardando a una conversione che supera le lamentele sul futuro delle nostre parrocchie, sul seminario privo di un numero adeguato di aspiranti al sacerdozio, e ci stimola innanzitutto a un rinnovato atto di fede: «Dio può far nascere anche dalle pietre dei figli di Dio»; e ci esorta alla preghiera insistente, perché Dio Padre ama essere importunato. E forse non è errato pensare che ci chieda una vita di unione più profonda con Lui e tra di noi, «prima di far rifiorire il deserto».
Se diversa è la partenza per una vocazione che si basa maggiormente sulla maturazione umana e spirituale della persona, tocca a noi, sacerdoti e fedeli insieme, aprirci all’azione dello Spirito Santo per trovare nuove modalità, qualcuna da me accennata, perché sia possibile la scoperta di questo dono che il Signore mette nel cuore dei giovani ed essi possano rispondere come il profeta: «Eccomi, Signore, manda me».
don Tonino Guasco
referente per il seminario