Le abitazioni dei cristiani in Iraq marchiate con una ignobile “N”

 
 

Convertirsi forzatamente all’Islam, pagare una pesante tassa di capitolazione (jizya) o lasciare la propria abitazione. Tre le “opzioni” che i miliziani dell’Is (Islamic state) da diverse settimane stanno intimando a tutte le persone cristiane (ma anche a sciiti, curdi, Yezidi e sunniti lontani da posizioni estremiste) che si trovano in Iraq, in quello che Abū Bakr al-Baghdādī ha autoproclamato parte di un fantomatico Califfato.
L’area di questo “progetto” si estende indicativamente dalla città di Mossul (nel nord dell’Iraq) alla periferia di Aleppo (Siria), a quella di Rutba (nel sud dell’Iraq) e di Dayr az Zor (sempre in Siria).
Dopo la conquista violenta della città di Mossul, i primi a farne le “spese” sono stati i cristiani mediante un vergognoso editto che impone, come accennato, l’islamizzazione di tutta la popolazione, altrimenti si è costretti ad abbandonare la casa o piegarsi alla jizya di almeno 250 dollari a persona in segno di “fedeltà” al Califfato.
L’emarginazione dei cristiani, come se non bastasse, viene completata da una vera e propria marchiatura delle abitazioni con una N, ovvero la prima lettera della parola nasara (che in arabo significa proprio cristiani).
Chiese, santuari e cappelle sono state sistematicamente distrutte, così come i simboli sacri: a Mossul, ad esempio, la statua di Maria Immacolata che sormontava la torre dell’omonima chiesa, senza dimenticare il recente incendio appiccato all’episcopato dei siro-cattolici.
Ha ragione papa Francesco quando più volte ribadisce che ci sono più martiri oggi che nei primi secoli. Mentre l’ultima trovata di al-Baghdādī è l’infibulazione di tutte le donne del Califfato, i cristiani continuano a fuggire disperatamente verso il Kurdistan, cercando (per ora) riparo nella piana di Ninive.

Giorgio Morera