Vocazioni e Vocazionabili

La situazione. Se per problema delle vocazioni se ne intende il crollo numerico, esiste soltanto da una cinquantina d’anni. Prima i seminari rigurgitavano. Don Bosco arrivava a dire che un ragazzo su tre ha la vocazione. Non so come facesse a saperlo lui, ma di ragazzi se ne intendeva. Negli ultimi decenni si è registrata una continua, inesorabile erosione numerica. Tanto per dare un’idea: quando entrai io in seminario nel 1962 i seminaristi a Vercelli erano una cinquantina. L’anno venturo (2013-14), stando alle previsioni, saranno o uno o zero. La situazione è dunque poco allegra.

Le cause. Ce n’è una quantità, in buona parte immaginabili. Elenchiamole velocemente dalle più serie alle più frivole: 1. scarsa incidenza di Dio e della fede nell’odierno tessuto sociale; 2. una cultura rasoterra sempre meno aperta alla trascendenza (è poi la stessa cosa); 3. i giovani hanno tutt’altro per la testa. Hanno magari dei flirt vocazionali che li fanno girare attorno al seminario per un po’, poi decidono di non decidere; 4. genitori che frenano e distolgono dal proposito figli che strizzano l’occhio al seminario; 5. in un’epoca in cui tutte le scelte possono essere ritrattate, una scelta irreversibile spaventa; 6. ai tempi di don Abbondio (1630) il clero era una classe “riverita e forte” e poteva attirare. Oggi è una classe che si arrabatta; 7. fino agli anni sessanta il seminario offriva possibilità di studio “a buon mercato”. Ci si infilava in prima media, andando avanti avvenivano fisiologiche scremature numeriche, ma non pochi arrivavano al traguardo, divenendo ottimi sacerdoti; 8. una volta il prete dava nell’occhio anche per strada – ricordiamolo con l’abito talare – e poteva incuriosire suscitando interrogativi. Oggi pochi portano il collarino ecclesiastico e il prete rimane diluito nella folla; 9. ultima, la più triste: forse le vocazioni non arrivano, perché non ce le meritiamo; 10. eccetera.

Le non cause. Capita di sentir dire:

1.«Ma! … forse se i preti si potessero sposare …». Più faccio il prete più mi convinco di quanto sia stato saggio Nostro Signore a esprimere una preferenza per i “preti signorini” (Mt 19,10-12). La scelta per Dio è troppo coinvolgente e totalizzante per poter lasciare nel cuore posto ad altro. Ciò non toglie però che, se i preti si potessero sposare, forse ce ne sarebbero di più, ma per forza di cose sarebbero occupati nel ministero per meno della metà del loro tempo e della loro intensità di azione. Capisco dunque che la Chiesa non si senta di fare tentativi in questa direzione;
2.«… se i preti fossero retribuiti un po’ meglio …». E’ vero: non sguazziamo nell’oro, ma non ci manca niente di ciò che è essenziale, e qualcosa in più. E poi non siamo disoccupati: con i tempi che corrono non è poco. Ma piuttosto che farsi preti solo per non tirare la cinghia, è meglio non farsi preti.

Le prospettive. Salve inversioni di tendenza di cui non si vedono i sintomi, dalle nostre parti si prevede l’estinzione della specie a medio termine. I numeri sopra abbozzati parlano fin troppo chiaro.

Le conseguenze imminenti. 1. Accelerazione del processo di scristianizzazione; 2. chiese ancora più chiuse; 3. chiese in progressivo degrado architettonico per impossibilità della loro manutenzione; 4. eccetera.

La conseguenza estrema. La cancellazione del Vangelo dalle nostre parti. E’ capitato anche al nord Africa negli ultimi secoli prima del mille, sotto la spada dell’islam.

La conseguenza auspicata. L’andazzo di male in peggio, già da tempo iniziato, potrebbe risvegliare nostalgie della vita saggia, santa, virtuosa, ragionevole e secondo buon senso (è il buon senso umano
e divino) insegnata dal Vangelo. Si dice che, quando si tocca il fondo – se esiste -, sia più facile rimbalzare verso l’alto.

Per adesso che fare? Di preciso non lo so. Mi limito a bofonchiare qualcosa:

1.Prima di tutto non lasciarsi prendere dallo sconforto. Cito Rosmini: «Deve il cristiano godere una perfetta tranquillità, e conservare un gaudio pieno, riposando interamente nel suo Signore, per quanto gli avvenimenti paressero contrari al bene della Chiesa stessa»;
2.nelle omelie noi preti dovremmo parlare meno di società e più di eternità;
3.la Chiesa italiana ai suoi elevati livelli dovrebbe abdicare al ruolo che si è arrogata di osservatorio puntato sulla situazione socio-politica nazionale, per quanto poco allegra sia, rimanendo negli ambiti di sua competenza istituzionale;
4.noi preti dovremmo stare e farci vedere di più in chiesa;
5.noi preti dovremmo mimetizzarci di meno, portando disciplinatamente il collarino ecclesiastico e l’abito talare in chiesa.

Pregare per le vocazioni. Non è mai sbagliato, diversamente si sarebbe sbagliato Gesù dicendo: «La messe è molta ma gli operai sono pochi. Pregate dunque il padrone della messe perché mandi operai alla sua messe» (Mt 9,37-38). Ma che Gesù si sia sbagliato in queste faccende non è pensabile. Pregare non è mai inutile. Sarebbe benefico anche se, par assurdo, Dio non ci fosse. La preghiera infatti dà pace e tranquillità con sé e con gli altri, provocando una sensazione di riposo interiore di cui c’è un gran bisogno, specie nella concitazione odierna. Che poi la preghiera per le vocazioni sia da ritenersi prioritaria, si evince dal fatto che è una delle poche intenzioni a noi segnalate nel Vangelo.

Questa preghiera si può fare privatamente e comunitariamente. A Crevacuore ci siamo dati l’impegno dell’adorazione mensile per le vocazioni, il primo giovedì del mese. L’abbiamo interrotta nei mesi invernali per il gelo che alligna nella nostra chiesa, e riscaldarla per poche persone è un suicidio economico. La cappella dell’asilo, ove si celebra la Messa nei mesi invernali, di giorno è troppo disturbata per un esercizio che richiede tranquillità come l’adorazione. Allora, per ricuperare, nei mesi caldi l’adorazione da mensile diventerà quindicinale, in pratica a giovedì alterni, a partire dal mese di maggio.

Circostanze vocazionali. Quali sono le circostanze/occasioni più favorevoli alle vocazioni? Secondo una statistica di anni fa in prima posizione ci sarebbe la direzione spirituale, ossia un colloquio abituale con un sacerdote. Poi vengono esperienze fatte in parrocchia. Seguono pellegrinaggi ed esercizi spirituali. In ultima posizione vengono le giornate mondiali della gioventù.

Una ragazzina al catechismo, mentre si dava una ripassata ai sacramenti, giunti al sacramento dell’Ordine, mi chiese quando e perché io ho deciso di farmi prete. Risposi: «Agli ultimi anni del liceo, per effetto di alcune problematiche relative all’esistenza di Dio, incontrate in storia delle filosofia. E da cosa nasce cosa». Mi chiese allora cos’è la filosofia e cercai di farfugliarle qualcosa.

La qualità della vocazione. La prova più convincente di qualità vocazionale è quando uno nella sincerità del suo intimo dice a se stesso: «Se potessi tornare indietro, rifarei la stessa scelta». Magari aggiungendo non senza malinconia: «… per vivere meglio il mio sacerdozio». Ma vorrebbe dire solo cambiare errori …

d. Alberto Albertazzi