Un bellissimo crescendo orante

Capita talora che le letture della Messa -solitamente il Vangelo – diano l’imbeccata alla colletta suggerendole i temi. Ciò è maniacalmente ordinario nelle collette CEI, in appendice al Messale Romano del 1983. Qui però mi riferisco alla massa tradizionale del Missale Romano, che riporta gloriosa eucologia di uso plurisecolare.

La colletta della seconda domenica di quaresima si trova sotto la suggestione della relativa pagina evangelica, quella della Trasfigurazione, quest’anno letta in Lc 9,28-36. Ne riporto il testo:

O Dio, che ci chiamiad ascoltare il tuo amato Figlio,nutri la nostra fede con la tua parolae purifica gli occhi del nostro spirito,perché possiamo goderela visione della tua gloria.Per il nostro Signore, Gesù Cristo …

Il Vangelo della Trasfigurazione rinviene almeno due volte: 1. ci chiami ad ascoltare il tuo amato Figlio; 2. godere la visione della tua gloria. Nella chiamata all’ascolto abbiamo l’ingiunzione paterna in coda alla presentazione del Figlio: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». E’ la seconda presentazione solenne e autorevole di Gesù. E’ quasi fotocopia della prima, tuonata su Gesù emergente dal battesimo. Ma qui si aggiunge Ascoltatelo! Forse è debole la traduzione “che ci chiami” per il praecepisti latino, che dà l’idea non solo di invito ma di comando. E’ il verbo dal quale discende il termine “precetto”, mai da intendersi in senso di “o prendere o lasciare, amici come prima”. Il testo evangelico infatti lo esprime al presente imperativo. Ma sono quisquilie. Il fatto intereressante è che questa domenica Dio è connotato come Colui che sollecita la nostra sintonia verso Suo Figlio, unico Maestro (cfr Mt 23,8).

Nel godimento della visione della gloria di Dio abbiamo un eco dell’entusiasmo petrino, travolto da un’intensa fruizione estetica, tanto da esclamare: «Maestro, è bello per noi essere qui» (Lc 9,33). Forse se invece di tradurre “godere la visione della tua gloria”, peraltro linguisticamente inappuntabile, si fosse tradotto “contempliamo la tua gloria”, oltre al guadagno di maggiore sobrietà verbale, ci sarebbe stata anche una strizzatina d’occhio a Gv 1,14: «… e noi abbiamo contemplato la sua gloria, gloria come del Figlio unigenito che viene dal Padre, pieno di grazia e di verità». In fondo Padre e Figlio condividono senza litigare la medesima gloria. La gioia che si prova resta implicita nella contemplazione, dato che contemplatio visio amantis est (= la contemplazione è il modo tipico di vedere di chi ama) – a detta di sant’Agostino -, e nell’amore non può non esserci la gioia. Un amore annoiato non è amore.

Liquidate queste osservazioni forse un po’ pedanti, diamo un’occhiata generale la nostro testo che vediamo costruito su un mirabile “crescendo”, schematizzabile in questo modo:

  1. ascolto del Figlio di Dio;
  2. nutrimento della fede;
  3. occhi purificati;
  4. godimento della visione.

Ascoltare dice di più di udire. Nell’udire ci può essere casualità, come quando si ode un bercio. Nell’ascolto c’è interesse e attenzione, e non c’è dubbio che la parola di siffatto Maestro se li meriti. Che poi la sua parola sia nutrimento della fede, è quanto mi affanno a dimostrare nella rubrica “anno della fede” che su questo foglio va avanti da qualche mese. Questo nutrimento è la prima delle due richieste del nostro testo. D’accordo che tocca a Dio farci ascoltare la sua parola come veramente “sua” e non di Pinocchio, anche se a noi trasmessa da penna umana; ma tocca noi andarla a cercare nel codice che la riporta, ossia nella Bibbia. C’è poi una seconda richiesta, fatto raro in questi brevissimi testi: «purifica gli occhi del nostro spirito». Nel latino non suona come richiesta ma come dato di fatto: alla lettera sarebbe “purificato il nostro sguardo spirituale”. Poco importa. In ogni caso occorre collirio spirituale per poter “godere la visione della gloria” di Dio. Pietro l’ha goduta solo per l’attimo della Trasfigurazione. Qui in pratica si chiede che quel godimento possa avere durata inestinguibile, inverando dunque la beatitudine che il Vangelo promette.

Ricapitoliamo il crescendo: 1. l’ascolto della Parola nutre la fede: 2. la fede purifica lo sguardo interiore; 3. lo sguardo purificato è abilitato alla contemplazione. Se nel primo contributo di questo foglio la carità riusciva vittoriosa perché le è data garanzia di eternità, ora la fede si è presa la rivincita, perché senza di lei, l’eternità resterebbe un sogno. Il “collirio spirituale” – come sopra l’ho chiamato – è in definitiva la fede. Questa colletta dunque, al pari moltissime altre, è di straordinaria bellezza per quella genialità tipicamente romana (parlo dei romani di una volta) di dire molto con sapiente parsimonia verbale, concatenando i concetti con vivacissima agilità intellettuale. La fede ne esce onorata, la stilistica liturgica pure, perché siffatti testi sanno attenersi scrupolosamente al galateo orante raccomandato da Nostro Signore (Mt 6,7): «Pregando, non sprecate parole come i pagani». E la spiritualità di chi si riconosce in questa preghiera – peraltro siglata dall’Amen di assemblea – si arricchisce.

Mi pare che tutto ciò giustifichi la scelta omiletica di quest’anno: come diversivo lasco stare le letture sulle quali pesto da secoli, e ogni domenica propongo un commento alla colletta della Messa.