Tappeto volante

 
 

Vi sono diverse tipologie di ricerche. Vediamole. Le ricerche “quotidian- casalinghe” di cose che si usano normalmente: chiavi di casa, cellulare, occhiali, se della specie “gava e büta” (=togli e metti). Ricerche di cose che non si sono mai viste, magari di fantasia, ma di notevole spessore letterario. Esempio la ricerca il vello d’oro1. E ci sono anche ricerche di natura psicologica.
Ricordo l’intervista a un grande alpinista, che privilegiava le scalate in solitaria. Il giornalista gli chiede: “Perché fa in solitaria queste scalate così ardite e pericolose?”. Risposta: “Per trovare me stesso”. Si vede che si era auto-perso; bastava che si guardasse nello specchio per ritrovarsi. Osservazione cretin- banale. Voleva dire che ricercava il proprio io, le proprie capacità, valutando la propria energia muscolare e spirituale, e via dicendo.
E ci sono anche ricerche teologiche: le più eccelse e raffinate di tutte, specie se le leggiamo all’inizio nel salmo 62. Eccolo:
O Dio, tu sei il mio Dio, dall’aurora ti cerco.
E’ la ricerca di un già trovato, come si evince dal suo rapportarsi a lui. Se io parlo direttamente con qualcuno, vuol dire che ho già trovato l’interlocutore. Eppure questa ricerca inizia dall’aurora. Evidentemente il salmista non pratica orari da contessa. E pare che la ricerca del già trovato si estenda per tutta la giornata. E’ diverso infatti dire “all’aurora ti cerco” da dire “dall’aurora”. Nel primo caso la ricerca di Dio è limitata ai primi bagliori aurorali. Nel secondo inizia da lì e si protrae per tutta la giornata. Tagliando corto possiamo dire che per il salmista la sintonia su Dio è immediata e non si interrompe mai. Un po’ come se dicesse “tu sei la prima luce dei miei occhi”, anticipando la Prima Lettera di Giovanni (1,5) “Dio è luce e in lui non c’è tenebra alcuna”. Siamo al culmine della contemplazione.
Il salmista continua quasi somatizzando il suo rapporto con Dio:
Ha sete di te l’anima mia, desidera te la mia carne
in terra arrida, assetata, senz’acqua.
Nella sua globalità antropologica è impegnato su Dio: anima e corpo non possono farne a meno. Quel soprannaturale beveraggio che è Dio stesso reca benessere pure alle membra, ancor più necessario nell’ambiente riarso dal sole in cui si trova: terra arida, assetata, senz’acqua.
Viene in mente la cerva del salmo 41,2: Come la cerva anela / ai corsi d’acqua, / così l’anima mia anela / a te, o Dio2. Da quelle parti a quei tempi le condizioni ambientali erano come quelle che oggi si paventano per l’intero pianeta.
Avere sete di Dio esprime la speranza di poterlo bere: una sotterranea, profetica allusione all’Eucaristia? E’ meno arduo pensare che il salmista voglia dire che il rapporto con Dio è di tale appagamento che mette a tacere ogni ulteriore desiderio. Siamo nella logica delle domanda di Filippo a Gesù, nel corso dell’ultima cela “Signore, mostraci il Padre e ci basta” (Giovanni 14,8).
Segue un colpo di amabile ingenuità di marchio anticotestamentario:
Così nel santuario ti ho contemplato, guardando la tua potenza e la tua gloria.
Ha colto un concentrato di Dio all’interno del tempio, oppure lo splendore artistico architettonico dell’edificio gli ha fatto debolmente e scialbamente immaginare l’infinitamente superiore maestosità divina? Se vale questa seconda ipotesi, il salmista avrebbe visitato ancora l’impareggiabile tempio di Salomone (970-931 aC), distrutto dai Babilonesi nel 586. E’ difficile immaginare che queste emozioni teologali possano essere state provocate dal secondo tempio, costruito negli ultimi decenni del secolo VI. Rispetto al primo doveva essere abbastanza tapino se il terzo profeta Isaia3 ci fa sghignazzare Dio di commiserazione (Isaia 66,1).
L’amore è la massima espressione della vita umana. Ne è consapevole il nostro ignoto salmista che dice:
Poiché il tuo amore vale più della vita, le mie labbra canteranno la tua lode.

Amore di chi? Il nostro verso Dio oppure il contrario. L’originale ebraico non ha dubbi: si tratta dall’amore che Dio ha verso di noi. Se ci viene a mancare siamo distrutti, la nostra vita si affloscia fino a spegnersi. Per questo il salmista non può fare a meno di lodarlo.

Incontriamo successivamente un notturno salmodico, di un bellezza incantevole:
Quando nel mio letto di te mi ricordo e penso a te nelle veglie notturne,
a te che sei stato il mio aiuto,
esulto di gioia all’ombra delle tue ali.
Il pensiero del salmista si è attizzato su Dio all’aurora e non si spegne nella notte successiva. Sembra persino godere dell’insonnia, pur così tormentosa, che gli consente ulteriore concentrazione su Dio. Dio comincia a scintillare nei primi raggi solari mandando messaggi di vita. Ma è tale la sua versatilità da essere raggiungibile mentalmente anche nelle veglie notturne, ombreggiate dalle ali divine che stendono su chi lo ama e ricerca una sovrana paternità. Dio, a chi lo cerca, dà sempre udienza! Non abbiamo soltanto altissima suggestione spirituale, ma anche altissima bellezza letteraria.
Ci imbattiamo poi quasi in un contatto fisico fra l’umano e il divino:
A te si stringe l’anima mia: la tua destra mi sostiene.
Un contatto spirituale, perché spirituali seppure in maniera diversa sono Dio e l’anima, ma descritto fisicamente, quasi anticipo dell’incarnazione in Gesù. Quel “si stringe” dà l’idea di abbraccio alla Cantico dei Cantici (3,4): “… trovai l’amore dell’anima mia. / Lo strinsi forte e non lo lascerò”.
Il salmo conclude con furibonde scalmane verso imprecisati nemici! Sono state tagliate nella Liturgia delle Ore. Se ci conosciamo bene, non devono stupire perché anche noi siamo soggetti, e non poco, a variazioni umorali. Le troviamo anche nei salmi, che rimangono di impareggiabile bellezza metabolizzando in preghiera anche le scalmane del temperamento umano.
Come si fa a preferire a questi capolavori di spiritualità letteraria, che ci fanno conoscere vitalmente Dio e l’uomo meglio di ogni altro libro, le preghiere della devotio moderna (= devozione moderna) sbrodolate a tavolino dietro a una marea di immaginette?
Inoltre molti salmi, come quello che abbiamo ora visto, sono in prima persona grammaticale, agevolando quindi l’immedesimazione nostra col salmista, cogliendo rispetto a lui prossimità e distanza, che fanno scattare quasi in automatico un esame di coscienza, senza spulciarci nell’intimo con scrupolo talora maniacale; ma valutando il nostro rapporto con Dio nella sua globalità, chiedendoci quanto lo facciamo contare nella nostra vita.
E quanto mi piacerebbe che la Chiesa, meno preoccupata di se stessa, divenisse per i cristiani una specie di tappeto volante trascinato verso Dio dai salmi!

1 Giasone e gli Argonauti. Siano in letteratura greca antica: Pindaro, Euripide, Apollonio Rodio.

2 Per vero dire l’ebraico originale non scrive cerva ma cervo. Il verbo anela però è alla terza persona femminile. Caratteristica del sistema verbale ebraico è di specificare alla seconda e terza persona singolare e plurale il genere (maschile/femminile) del soggetto. San Gerolamo opta per il maschile e traduce cervus. Nelle versioni moderne invece prevale cerva: ma si rimane sempre tra i cornuti ramificati!

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