Il Pallio – Rubrica Editoriale

Cominciamo a metterne in chiaro la grafia. Il pallio di cui qui si tratta si scrive con doppia elle, se no si parla del palio di Siena. Il pallio in questione è un’insegna arcivescovile, denotante comunione col Romano Pontefice e autorità metropolitica. Il metropolita è un arcivescovo emergente  su una “provincia ecclesiastica” detta metropolìa, costituita da più diocesi dette “suffraganee”. In Piemonte ci sono due metropoliti: l’Arcivescovo di Vercelli e l’Arcivescovo di Torino. Diocesi suffraganee di Vercelli sono Alessandria, Biella, Casale e Novara; e suffraganei dell’Arcivescovo di Vercelli i rispettivi vescovi. Il metropolita indossa il pallio solo all’interno della propria metropolìa. Ma occorre dire come è fatto e in che zona anatomica si metta. E’ un ampio collare – dal che si evince che si mette attorno al collo – in lana bianca, con pendule ridondanze plumbee fronte\retro decorato con croci nere e fissato all’indumento soggiacente (casula) con spilloni molto più eleganti delle mollette del bucato.

La sua origine storica è incerta e complicata. In antico il pallio era un ampio mantello in uso tra i romani. Poi si è andato via via riducendo, come è capitato ad altri indumenti (soprattutto femminili). E’ difficile decidere se, con l’evoluzione della moda, sia rimasto paludamento imperale o pontificio. Nel primo caso il Papa lo avrebbe ricevuto dall’imperatore per gentile concessione. Nel secondo caso se lo sarebbe ripristinato il Pontefice, come sciarpa\collare segnaletico di autorità sulla chiesa universale. Papa Marco (+ 336) – se dobbiamo credere al Liber Pontificalis, che è un po’ cacciaballe – lo concesse come privilegio al vescovo suburbicario di Ostia, dilagando successivamente sulle spalle di tutti i metropoliti, i quali erano tenuti a farne richiesta al Romano Pontefice entro tre mesi dalla loro ordinazione, pena la decadenza dal rango metropolitico.  Era insegna da indossarsi solo nella Messa e non in altre celebrazioni, tanto che il Papa Gregorio Magno (+ 604) manda una fiera rampogna all’arcivescovo di Ravenna che lo indossava con leggerezza anche in altre circostanze, seppure non frivole. La lana del pallio proviene dalla tosatura di agnelli, effettuata il giorno di sant’Agnese (21 gennaio) causa equivoco linguistico: si faceva infatti derivare il nome della pudibonda donzella romana finita martire dal latino agnus che significa agnello, invece che dal greco aghne, che significa casta. I fantasiosi liturgisti carolingi, con in testa Rabano Mauro (+854), scorgevano nel pallio il simbolo del buon pastore che torna a casa gongolando per avere ritrovato la pecora smarrita.  Nel caso del metropolita però ne ha trovato solo il pelo.

Il pallio può essere conferito in tre diverse circostanze: o durante il rito di ordinazione episcopale; o successivamente da un vescovo che ne abbia ricevuto ad actum l’incarico; o, come accade oggi quasi esclusivamente, dal Romano Pontefice  il giorno di san Pietro.

Ecco ora la formula di conferimento: «A  gloria di Dio onnipotente, \ a lode della beata sempre Vergine Maria, \ dei santi apostoli Pietro e Paolo,  \ (nel nome del Romano Pontefice) \ e della santa Romana Chiesa, \ a onore della sede N (nel caso Vercelli) a te affidata, \ come segno dell’autorità di metropolita, \ ti consegno il pallio \ preso dall’altare della confessione di fede del beato Pietro. \ Questo pallio, \ da portare entro i confini \ della tua provincia ecclesiastica, \ sia per te simbolo di unità \ e tessera di comunione con la Sede Apostolica, \ vincolo di carità \ e richiamo alla fortezza evangelica, \  perché nel giorno della venuta e della rivelazione \ del grande Dio e principe dei pastori, Gesù Cristo, \ insieme con il gregge a te affidato, \ tu sia rivestito della stola di gloria \ e di vita immortale. \ Nel nome del Padre e del Figlio e dello Spirito Santo».

Testo un pochino obeso per un accessorio in pratica solo onorifico. Fatto sta che il già ordinato vescovo, appena se lo trova sulle spalle è confezionato arcivescovo metropolita (e, non essendo l’albero di Natale, non aggiunge altro).

Alberto Albertazzi