Esaltazione della Croce

 
 

A cura della Fraternità della Trasfigurazione

Oggi la Chiesa celebra la festa dell’esaltazione della croce e il Vangelo, tratto dal terzo capitolo di Giovanni, rimanda al testo del libro dei Numeri che costituisce anche la prima lettura della liturgia odierna. Qui si narra del popolo che, stanco del viaggio, non sopporta più la fatica. Di fronte alla stanchezza e alle difficoltà del percorso ogni aspirazione alla libertà sembra svanita e la reazione immediata è duplice: il vittimismo e la lamentela da una parte e l’accusa contro Dio e contro Mosè dall’altra. Tale atteggiamento non è tipico solo del popolo di Israele: di fronte alle avversità della vita tutti tendiamo a lamentarci e a incolpare o gli altri o Dio stesso, senza provare ad attendere per capire il significato di un’esperienza dolorosa. Il deserto, però, è effettivamente un luogo pericoloso: di fronte ai serpenti che mordono e uccidono, Israele si sente in colpa e interpreta tutto ciò come punizione voluta da Dio. Da parte sua, però, Dio è più desideroso di salvare che di punire e per tale motivo ordina a Mosè di modellare un serpente e metterlo sopra un’asta: esso avrà il potere di far rimanere in vita coloro che lo guarderanno. Dovrà, però, essere innalzato e, di conseguenza, non considerato come uno strumento magico, oggetto di superstizione, ma come una mediazione, il frutto di un’azione dall’alto il cui scopo è di proteggere l’uomo. Anche Gesù nel Vangelo parla di un innalzamento e, più precisamente, afferma la necessità di tale azione utilizzando il verbo “bisogna”. Questo uso impersonale sottende una volontà da parte di Dio. Essa è precisata subito dopo con una delle affermazioni più profonde, sconvolgenti e commoventi di tutta la Sacra Scrittura: “Dio, infatti, ha tanto amato il mondo da dare il Figlio Unigenito”. Gesù ci parla di un amore talmente smisurato da parte del Padre, un amore così immenso da raggiungere il culmine del dono che Egli poteva offrirci: la realtà più preziosa che possiede, il suo stesso Figlio. Qual è, però, il nesso fra questo dono e l’innalzamento del Figlio dell’uomo? Mandando il suo Figlio nel mondo, il Padre lo ha posto nelle mani di un’umanità abitata dal peccato, un’umanità che, come leggiamo nel prologo di Giovanni, non l’ha né riconosciuto né accolto (cf Gv 1,10-11). Questo rifiuto da parte di coloro che, come scrive ancora lo stesso evangelista, avrebbero dovuto essere “i suoi” (Gv 1,11), in quanto condividevano la sua stessa umanità, ha raggiunto il culmine nell’innalzamento della croce. Quella che, apparentemente, doveva sembrare una sconfitta, in realtà ha rappresentato però una sorgente di salvezza, ben più efficace del serpente fabbricato da Mosè, capace solo di proteggere dalla morte fisica. Al contrario, la disponibilità a sollevare lo sguardo verso colui che è stato innalzato e a credere in lui ci procura un bene incommensurabilmente più grande: la vita eterna. Questa non deve essere pensata solo come continuità dell’esistenza dopo la morte, ma come possibilità di dare pienezza alla nostra vita, innanzitutto perché colui che, come il serpente, è stato innalzato ci ha resi capaci di resistere ai morsi maligni del peccato. Nello stesso tempo la sua elevazione sulla croce ci ha mostrato come l’unico modo per rendere veramente piena e significativa la nostra vita è il dono di noi stessi che impariamo da lui.