La commemorazione dei defunti
A cura della Fraternità della Trasfigurazione
La liturgia della Commemorazione di tutti i defunti offre diverse possibilità di letture: noi abbiamo scelto quella che comprende il vangelo di Matteo sul giudizio finale. Quando si legge e medita tale testo, secondo me è utile sgomberare la mente da tutte le immagini che la abitano, immagini che illustrano questa scena per lasciarsi invece sorprendere dalle parole del Vangelo. Troviamo qui una visione grandiosa, tutti i popoli sono radunati davanti al trono della gloria di questo re che, come un pastore, separa capri e pecore. Fin qui ci troviamo di fronte a un’immagine che non ci sorprende. Subito dopo, però, il re parla e le sue parole sono inattese, ci stupiscono. Si tratta dell’invito a ricevere in eredità il Regno; se pensiamo alla parabola del prodigo, sappiamo che l’eredità è quanto viene offerto al figlio. Nella parabola di Luca l’eredità viene drammaticamente rivendicata; qui invece, al contrario, viene offerta, viene partecipata e questo ci spiega qualcosa del giudizio. Il giudizio può essere pensato come il momento del pieno compimento di quella figliolanza divina che abbiamo ricevuto in germe al momento del battesimo, una figliolanza che dobbiamo coltivare ogni giorno nell’attesa che essa raggiunga la sua pienezza nel Regno. Questo Regno, ci dice il re, è stato preparato per noi fin dalla creazione del mondo. Queste parole rivelano come ci sia un disegno che precede l’esistenza di ognuno di noi, la abita e la orienta verso un fine che supera quel limite umanamente invalicabile quale è la morte. La nostra vita non è insignificante, infatti, essa ha un senso. E tale senso è ben descritto nel primo capitolo della lettera agli Efesini, quando Paolo dice che siamo stati scelti prima della creazione del mondo e predestinati a essere in Cristo figli adottivi. E nella seconda lettura di oggi prosegue affermando che siamo figli ed eredi di Cristo e che l’intera creazione è protesa verso il compimento di questa eredità, che è la vita filiale. La figliolanza divina abita dunque la nostra vita, la precede, si sviluppa durante tutta la nostra esistenza ed è nel giorno del giudizio che troverà il suo compimento, un compimento che probabilmente non si fermerà mai, perché l’amore è dinamico, cresce sempre. Tale compimento, però, si realizzerà solo se qui saremo entrati nella dinamica dell’amore. Non dimentichiamo infatti che la salvezza è stata pagata a caro prezzo e non può essere svenduta, trasformata in un universale vogliamoci bene. Il come si realizza già qui, poco per volta, e lo troviamo nel lungo elenco che il re ci presenta, un elenco che ci richiama a quanto abbiamo detto nel passato, rispetto alla concretezza dell’amore. Anche a tale proposito, però, il re ci sorprende con una affermazione inaspettata: questi miei fratelli più piccoli. Ci saremmo aspettati di sentire un “vostri” che orienta verso l’altro, ma sancisce anche la distanza tra noi ed Dio. Invece il re seduto sul trono della gloria dice miei, a indicare la sua piena identificazione con ogni uomo. Con questo miei può porci degli interrogativi: forse ognuno di noi è invitato a domandarsi che cosa evoca dentro di sé l’espressione questi miei fratelli più piccoli. Per me, tra le altre cose, indica che il Verbo di Dio ha davvero preso sul serio la sua incarnazione. E mi fa anche comprendere qualcosa in più di questo testo di Matteo: mi fa comprendere la sua collocazione. Esso si pone infatti proprio prima dei racconti della passione, i quali ci illustrano fino a che punto arriva il suo amore verso questi suoi fratelli più piccoli che siamo noi e tutti i nostri cari defunti che oggi commemoriamo e crediamo già partecipi di quell’eredità che ci attende.