2ª Domenica Quaresima Anno C

 
 

don Luciano Condina commenta il Vangelo di Lc 9,28b-36

Dio ci prospetta un’esistenza trasfigurata

Nel trasfigurarsi Gesù dona a Pietro, Giacomo e Giovanni quella che oggi, nel cammino di conversione, definiamo “esperienza Tabor”. Con questo nome indichiamo quel momento in cui tanti cristiani hanno scoperto, intuito, percepito chi fosse realmente Gesù, sperimentando sulla propria persona – nel corpo, nell’anima e nello Spirito – il «candore e lo splendore» (cfr. Lc 9,29) di Cristo, ossia la sua luminosità e il suo amore divino. Molto spesso questa esperienza coincide con una autentica conversione.

“Esperienze Tabor” possono essere gli esercizi spirituali, i campi estivi, i pellegrinaggi e quant’altro, attività pastorali fondamentali per la trasmissione della fede. Da esse, che rappresentano la «salita al monte» (cfr. Lc 9,28), si torna col cuore pieno, con la gioia sperimentata nell’aver toccato l’amore di Dio. Queste avventure non sono viaggi da cui semplicemente si ritorna, bensì esperienze da cui si riparte, perché toccare e ricevere l’amore di Dio “mette le ali”, mette in movimento; un po’ come Maria che, dopo l’annuncio dell’angelo, «si alzò di fretta» per raggiungere la cugina Elisabetta (Lc 1,39).

Mosè ed Elia che parlano con Gesù rivelano il fatto che la legge, rappresentata da Mosè, e i profeti, rappresentati da Elia, in modo velato puntano a Cristo da sempre. Sarà la luce di Cristo a svelare la sua presenza anche nelle scritture dell’Antico Testamento.

L’azione di questa luminosità è simile a una radiografia operata dai “raggi x del suo amore” i quali, facendola alle Scritture, mostrano l’amore di Dio contenuto in esse; svelano il contenuto profondo della legge e operano il passaggio di quest’ultima alla Grazia: il “passaggio del mar Rosso” che compie l’Antico Testamento per approdare al Nuovo, il passaggio dalla schiavitù della legge alla libertà conferita dalla Grazia (Rm 6,14).

In Esodo 3,18 Dio promette agli israeliti di donare loro «una terra in cui scorrono latte e miele». La terra promessa non è da intendersi solo come luogo geografico, ma da intendere anche come corpo umano, nella sua antropologia tripartita. Adamo si chiama così perché «dalla terra è stato tratto» (‘adamah è la terra). È proprio in questa terra, il corpo dell’uomo, che Dio annuncia di compiere la promessa. Infatti il corpo trasfigurato di Gesù è luminoso e splendido: il latte simboleggia il candore e la luce; il miele, che ha il colore dell’oro, simboleggia lo splendore.

Nel promettere latte e miele Dio indica all’uomo una nuova esistenza, trasfigurata. Ecco dunque che Pietro, Giacomo e Giovanni davanti a Cristo trasfigurato si trovano di fronte al compimento della promessa di Esodo 3,18. Questa rinascita comporta l’apertura alla spiritualità per i cinque sensi dell’uomo: la vista spirituale permette di vedere le cose come le vede Cristo, e quindi uno sconosciuto diventa il fratello; l’udito spirituale percepisce nella Parola di Dio l’amore del Padre; l’olfatto spirituale attiva il discernimento del bene continuo: diciamo infatti “avere naso” quando si intuisce qualcosa; il tatto spirituale non rigetterà più gli ultimi, gli sgradevoli e farà dire, come per San Francesco nel suo testamento (FF110) «ciò che mi sembrava amaro mi fu cambiato in dolcezza d’animo e di corpo» riguardo ai lebbrosi; il gusto spirituale non persegue più la compensazione continua ma il nutrimento sano, che irrobustisce l’anima e lo spirito.

Contempliamo dunque il corpo trasfigurato di Cristo cullandoci nella consolazione che quello sarà anche il nostro.