25ª domenica tempo ordinario

 
 

don Luciano Condina commenta il Vangelo di Mc 9,30–37

Al discorso di Gesù riguardante la sua cattura, morte e resurrezione nel terzo giorno «i discepoli non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo» (Mc 9,32).

«Di cosa stavate discutendo per la strada?» (Mc 9,33) è la domanda retorica che Gesù pone per stanare subito il problema che risiede alla base della loro incomprensione, poiché sa bene che dibattevano su chi dovesse essere il più grande fra loro. Tra il discorso di Gesù e la discussione dei discepoli esiste un totale scollamento di pensiero. Dio e l’uomo parlano due lingue diverse, e qui risiede l’origine di tanta sofferenza nella vita terrena. È una situazione che, sistematicamente, si ripresenta nei vangeli e nella nostra esistenza: Gesù parla di missione mentre gli apostoli – e noi con loro – parlano di realizzazione personale.

È uno scontro tra due sapienze: quella dall’alto di Dio e quella dal basso umana, che non comprende la prima. Per capire Dio è necessario smontare le proprie comprensioni. Il problema non è capire qualcosa di nuovo, ma mettere in discussione ciò che sappiamo già. Nell’apprendimento mu-sicale di uno strumento le lezioni più importanti sono le prime due, perché in esse si insegna “l’impostazione”, ossia il modo corretto con cui sviluppare lo studio, le fondamenta che garantiscono il successo nella crescita musicale. E non esiste nulla di più difficile del cambiare un’impostazione sbagliata ossia disimparare quanto appreso: si fa una fatica immane e non sempre si riesce. Lo stesso avviene per comprendere la parola di Dio: finché non si annienta la propria impostazione di pensiero – quella legata alla realizzazione personale – non si è in grado di comprenderla, accoglierla e viverla. Si pone dunque un bivio tra il perseguire il primo posto o agire secondo i piani di Dio; vivere secondo l’angoscia del proprio ego con le sue competizioni o scoprire la meraviglia di ciò a cui Dio ci ha chiamati e predestinati, che possiamo liberamente accettare o rifiutare; vivere per qualcosa che sul momento appare garanzia di felicità, che sistematicamente si rivela non esserlo perché poi si corrompe, oppure vivere seguendo i passi di Gesù, che passerà dalla tribolazione e dalla morte, ma certamente vivrà la resurrezione vera, e noi con lui.

Per entrare nella propria missione è necessario stanare la larvata menzogna nascosta nel cuore che afferma l’uomo come padrone della propria vita. L’esistenza tesa all’auto-affermazione sarà sempre un tiro alla fune contro la dura e spesso cinica realtà, che non asseconda le aspettative della realizzazione personale. Tante volte non capiamo ciò che Gesù dice perché dobbiamo prima smontare la centralità affermativa della nostra esistenza. Se in un matrimonio – ad esempio – non si vive la chiamata a trascendersi per amare, per servire, per entrare nell’avventura di rendere felice la persona che Dio ha affidato all’altro, il consorte diventerà servo, pura funzione in cui uno è padrone e l’altro schiavo.

Seguire Cristo significa fidarsi del fatto che la sua meta è la più grande e la migliore in assoluto: il Padre, la nostra vera casa, il luogo dove siamo amati in quanto figli, e dunque eredi di tutto ciò che Dio possiede.

Solo Cristo conosce la strada che certamente conduce a Lui. Seguiamolo con spirito di bambini, che non si pongono le domande degli adulti e sanno essere spensierati, capaci di conservare la gioia.