XXIV domenica del Tempo ordinario
A cura della Fraternità della Trasfigurazione
Arriviamo oggi a un punto centrale del Vangelo di Marco, a uno snodo. Gesù pone ai suoi una domanda che gravita intorno a un termine estremamente breve, ma incredibilmente denso: “Chi”. È un interrogativo che riguarda l’identità di Gesù, il mistero della sua persona. Egli chiede prima di tutto che cosa dice la gente a suo proposito, quella gente che lo ha seguito, lo ha visto compiere miracoli, ma anche cercato di incasellarlo dentro le classificazioni troppo anguste che vedevano in lui solo il figlio di Maria e di Giuseppe (cf Gv 6,42). Dopo aver ascoltato le risposte che gli riferiscono i discepoli, Gesù pone loro direttamente la domanda. Il modo in cui essa è formulata presuppone il fatto che egli si attenda dai suoi una risposta meno vaga, più accurata e precisa rispetto a quelle proposte dalla gente comune. La condivisione, l’ascolto, la vita insieme, la cura particolare che egli ha per ciascuno dovrebbe far capire ai suoi che in mezzo a loro c’è uno ben più importante di Giovanni Battista, di Elia o di uno dei profeti. Pietro intuisce la superiorità del Signore e risponde in modo lapidario: “Tu sei il Cristo”. La reazione di Gesù in Marco è ben diversa da quella che troviamo in Matteo, dove Pietro viene definito beato per essere stato ispirato dal Padre dei cieli (cf Mt 16,17). Qui il Signore si affretta innanzitutto a invitare i suoi a mantenere il segreto sulla sua identità e in un secondo momento rivela loro il destino di sofferenza, di morte e risurrezione riservato al Cristo, riempiendo così di significato reale il termine a cui Pietro e gli altri discepoli potevano attribuire contenuti grandiosi di prestigio e potere. È infatti rassicurante seguire un Maestro osannato dalla folla, il cui successo non può che riverberare anche su coloro che condividono la vita con lui, ma è angoscioso e frustrante andare dietro a uno il cui destino è il molto soffrire, l’essere riprovato e venire ucciso. Di fronte a un annuncio così drammatico la paura prende il sopravvento e Pietro forse non sente la parola di fiducia e speranza con cui Gesù conclude il suo breve discorso:” e, dopo tre giorni, risorgere”. Preso dal panico, l’apostolo reagisce in modo contemporaneamente difensivo e grandioso: invece di riconoscere la paura nata in lui dal pensiero che il Maestro posta soffrire e morire, ma anche dal veder frantumarsi tutti i sogni di gloria personale silenziosamente nascosti nel profondo del cuore, l’apostolo si sente in diritto di rimproverare Gesù. Il Signore risponde reagendo alla tentazione presente nelle parole del discepolo attraverso una presa di distanza, ma soprattutto mettendo in risalto come possano esistere due modi diversi di pensare, due criteri interpretativi della realtà: uno secondo Dio, l’altro basato sui propri interessi e sull’egocentrismo umano. A questo punto l’evangelista allarga il discorso: sulla scena non sono più presenti solo Gesù e Pietro, ma vengono coinvolti anche la folla e i discepoli, quindi l’intera comunità. La prima indicazione offerta consiste nell’invito a rinnegare sé stessi, un’espressione che spiega più chiaramente quanto Gesù ha affermato in precedenza rispetto al pensare “secondo Dio”: il centro del valutare e dell’agire di Dio non è in sé stesso, ma nell’altro e così dovrebbe essere anche per l’uomo. Rinnegarsi non è, quindi, sinonimo di masochismo, ma di decentramento: è spostare l’asse del proprio interesse sul bene dell’altro e non sul piacere o sul benessere personale e questo comporta anche l’assumere la propria vita con le fatiche e i dolori di ogni giorno. E come in precedenza, dopo aver elencato le sofferenze che avrebbe dovuto attraversare, aveva concluso parlando di risurrezione, ora Gesù termina il discorso promettendo al discepolo che lo segue la salvezza per la propria vita, una salvezza che non riguarda unicamente il futuro ma è pienezza che già abita il nostro presente.