XXIII domenica tempo ordinario Mt 18,15-20

Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».
 
 
Perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro».

La concordia frutto dell’agire e del pregare – a cura di Mons. Alberto Albertazzi – alberipazzi@gmail-com –

 

La concordia è un bene troppo prezioso per non fare ogni tentativo di ripristino, se andata in frantumi come assai spesso accade. Gesù, questa domenica, offre una sapiente, discreta terapia anti-discordia. Il diavolo è il supremo artefice della discordia: lo dice il suo nome stesso. Diavolo infatti in greco significa separatore, divaricatore e la discordia è, per l’appunto, separazione e divaricazione fra due parti che dovrebbero andare a braccetto. Gesù insegna che per rabberciare la concordia occorrono classe e buon senso, per non fare subito strepito nel caso di dissapori.

Ecco allora il primo passo: «Se tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va’ e ammoniscilo fra te e lui solo». Siamo nella logica raffinata dei panni sporchi che si lavano in casa.

Se questo primo tentativo non funziona, calma: non è ancora il momento di far piazzate. Gesù esorta a portare la vertenza all’arbitrato di persone per bene. Se neppure questo funziona, la faccenda va a finire all’arbitrato di un “mini-parlamento”. Se non ce la fa neppure questo consesso, cosa si può provare di più? La parte offesa ha sperimentato ogni tentativo. Ergo, se la controparte non vuole concordia, s’arrangi: si sono sparate tutte le cartucce possibili. Gesù non dice propriamente così, ma usa una terminologia dell’epoca: «Sia per te come il pagano e il pubblicano». Affiora spocchia rabbinica che, per bene che andasse, aveva un atteggiamento di sufficienza verso i summenzionati. Non si deve dimenticare che Matteo è un ebreo che scrive a ebrei.

Un complemento alla fallita tattica conciliante, in fondo sottinteso nella lezione di Gesù, lo troviamo nella Regola di san Benedetto (cap. XXVIII): «Se [l’abate] vede che a nulla approdano i suoi tentativi di ricupero, ricorra a ciò che più vale, ossia la preghiera sua e dei monaci, affinché il Signore, che tutto può, recuperi il fratello recalcitrante». È uno dei capisaldi più stupefacenti dell’etica monastica.

Andiamo avanti.

Si direbbe che agli altri undici sia un po’ bruciata l’assegnazione esclusiva a Pietro del potere di “sciogliere e legare”; è roba di due domeniche fa. E Gesù corre ai ripari estendendola pure ai colleghi, col sussiego della clausola veritativa: «In verità vi dico: tutto quello che legherete sulla terra sarà legato in cielo, e tutto ciò che scioglierete sulla terra sarà sciolto anche in cielo». Tale estensione di potere, dopo la lezione della concordia rabberciata, potrebbe far pensare, magari fabulando un po’, che l’armonia nel gruppo fosse un tantino a rischio, e allora Gesù consolida anticipando la promessa che troverà realizzazione la sera di Pasqua: «A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati; a coloro a cui non perdonerete, non saranno perdonati» (Gv 20,23). Peraltro una certa suscettibilità fra i dodici emerge di fronte alla petulante richiesta della madre di due di loro in favore dei propri figli (Mt 20,20-26).

La concordia non serve soltanto per non pestarsi reciprocamente i calli, ma anche per far funzionare al meglio la preghiera: «Se due di voi sulla terra si metteranno d’accordo per chiedere qualunque cosa, il Padre mio che è nei cieli gliela concederà». Siamo della logica di “l’unione fa la forza”. Bellissimo il verbo greco sumfonèo, all’origine di “mettersi d’accordo”: vi sentiamo dentro la musicalità concorde della sinfonia. Splendida poi la motivazione di questo potenziamento orante garantito alla pluralità, «perché dove sono due o tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro». Non è necessaria una manifestazione sindacale: bastano due o tre per far scattare la presenza di Gesù. Ma cosa vuol dire essere riuniti nel suo nome? Una risposta purosangue mi è suggerita dalla lettera agli Ebrei (5,1): essere riuniti «nelle cose che riguardano Dio». In tal modo si precisa e si limita quello spericolato “qualunque cosa chiederete”: non dunque ghiribizzi cervellotici e capricciosi, ma cose che si allineino alla logica del Vangelo. Dobbiamo gratitudine a Matteo che ha esplorato altre forme di presenza di Gesù nella Chiesa: presente certo nell’eucaristia, ma non meno nella comunità orante con la liturgia delle ore o anche semplicemente col rosario; non meno nel povero soccorso e non soccorso (Mt 25,40.45).

È stupefacente come da poche parole del Vangelo sprizzino magazzini di spiritualità!