XVIII domenica del Tempo ordinario

 
 

A cura della Fraternità della Trasfigurazione

Nel suo percorso verso Gerusalemme Gesù incrocia diverse persone; il vangelo odierno narra dell’incontro con “uno della folla”, un anonimo, dunque, che può rappresentare ognuno di noi. Il problema che egli espone al Maestro è molto comune; l’eredità, infatti, costituisce per molte famiglie un’occasione di incomprensione e divisione. Gesù si rifiuta di ristabilire la pace tra i due fratelli, respingendo il ruolo di giudice o mediatore che ben volentieri il suo interlocutore gli avrebbe attribuito. Si tratta di un compito che normalmente spetta ai dottori della legge, ma il successivo ammonimento di Gesù e la parabola che lo accompagna inducono a pensare che altro sia il motivo del suo rifiuto. La legittima pretesa di essere trattati con giustizia può, infatti, nascondere altro e con la sua risposta il Maestro arriva immediatamente al nocciolo della questione. Le sue parole, che apparentemente potrebbero sembrare moralistiche o inappropriate, fanno invece emergere quanto spesso si nasconde dietro a una giusta rivendicazione: la cupidigia. Ciò che stupisce, però, è il motivo per cui Gesù la condanna; ci si potrebbe, infatti, aspettare un giudizio negativo in quanto ogni forma di avidità nasce da un atteggiamento egocentrico e crea un rapporto ingiusto nei confronti degli altri. Gesù non nega quest’aspetto, ma va ancor più in profondità per mettere in evidenza il carattere illusorio della cupidigia che, ancor prima di danneggiare gli altri, fa del male alla persona che da essa si lascia guidare. Quando afferma che la vita non dipende da quanto si possiede, Gesù smaschera la menzogna che, spesso senza intenzionalità o consapevolezza, noi ci raccontiamo ogni giorno; invece di considerare la vita come una realtà che ci viene donata e che, di conseguenza, non possediamo, noi la riteniamo come una proprietà personale da gestire a nostro piacimento grazie ai beni che possediamo. All’invito perentorio: “Fate attenzione e tenetevi lontani da ogni cupidigia”, con la capacità pedagogica che lo caratterizza, Gesù fa seguire il racconto di una parabola in cui ben si evidenzia il suo pensiero. L’uomo di cui egli narra la vicenda presenta alcuni tratti interessanti: in primo luogo l’egocentrismo, messo in risalto dall’assoluta assenza di altre persone non solo nella situazione in cui si trova ma anche nei suoi pensieri e desideri. La superficialità delle sue aspirazioni costituisce un altro elemento importante: i beni che egli possiede sono infatti destinati al riposo, al cibo, al bere e al divertimento; questo personaggio può così ben rappresentare l’uomo di ogni tempo, ma in particolare quello della nostra epoca, che vive alla giornata alla ricerca di sensazioni tanto piacevoli quanto superficiali. Ciò che maggiormente costituisce la stoltezza del suo pensiero, quella stoltezza di cui parla il salmo 48 quando dice che “L’uomo nella prosperità non comprende” (Sl 48,13), è tuttavia l’illusione rispetto alla vita. Se con questo termine ci riferiamo alla durata dell’esistenza terrena, è veramente utopico pensare, come spesso oggi accade, che essa sia in potere dell’essere umano. Esiste, però, un altro modo di considerare sia la vita sia la ricchezza; come ci ricorda Luca, esso consiste nel dono generoso (cf Lc 11,41) e nella condivisione (cf Lc 16,9), grazie ai quali possiamo davvero raggiungere quella pienezza e quell’appagamento a cui aspiriamo.