XVII domenica del Tempo ordinario
A cura della Fraternità della Trasfigurazione
Le letture di questa domenica parlano della preghiera e, mentre ci suggeriscono quale atteggiamento assumere nel rivolgersi a Dio, ci rivelano anche chi è Dio. Nel Vangelo la prima indicazione importante viene dalle righe iniziali: Gesù non intavola un discorso su questo argomento, ma risponde alla domanda posta da un discepolo in cui, dopo aver visto il Maestro pregare, è nato il desiderio di condividere la stessa esperienza. Questi ha intuito che il motivo della preghiera del Signore non nasce da un’adesione rigorosa a norme stabilite dalla Legge, ma da qualcosa di ben più personale, profondo e attraente, tanto da suscitare in lui il desiderio di poterlo condividere. La risposta di Gesù aiuta subito a comprendere di che cosa si tratta: nell’invito iniziale di rivolgersi a Dio con il nome di Padre, egli rivela immediatamente quanto costituisce il fascino della sua preghiera. Essa è prima di tutto una relazione con Colui di cui egli rivela l’identità e che, nello stesso tempo, manifesta anche a noi non solo chi siamo ma anche come ci collochiamo in questo mondo. Ricorrere a Dio chiamandolo Padre significa, infatti, riconoscersi figli e sapere che la nostra vita ha un’origine e un senso, che non siamo gettati su questa terra ma siamo invece custoditi, perché preziosi agli occhi di Colui che ci ha creati. Ed è proprio questa premessa iniziale che dà il tono e modella il resto della preghiera, composta da cinque domande; le prime due riguardano il Padre e mettono al primo posto il desiderio che la sua identità sia riconosciuta da tutti e, subito dopo, la venuta del suo regno. Le invocazioni successive hanno come oggetto le necessità del discepolo, il quale ha bisogno non solo del pane ma anche del perdono e dell’aiuto nel momento della tentazione. Seguono due brevi parabole: la prima, che richiama quella della vedova importuna e del giudice iniquo, anch’essa appartenente al Vangelo di Luca (Lc 18,1-8), mette in risalto il potere della preghiera tenace e perseverante. L’insistenza, infatti, è già di per sé un messaggio. Se da una parte esprime l’intensità del desiderio – si diventa ostinati solo per quanto ci sta veramente a cuore – dall’altra manifesta la profonda fiducia nella persona a cui si presenta la richiesta: si continua ad avanzare con insistenza la propria domanda solo quando, nonostante la situazione avversa, si lascia aperta la possibilità che l’altro risponda. Vengono in mente le parole di santa Teresa di Gesù Bambino, che scrisse nella sua autobiografia: “Com’è grande la potenza della preghiera! La si direbbe una regina la quale abbia a ogni istante libero adito presso il re e possa ottenere tutto ciò che chiede”. Santa Teresa può esprimersi in questo modo poiché nutre una fiducia totale e incondizionata nei confronti di Dio, quella stessa fiducia a cui ci invita Gesù nel brano odierno anche attraverso i successivi tre verbi all’imperativo: “chiedete”, “cercate”, “bussate”. A questo breve elenco di azioni suggerite, egli fa seguire un rassicurante ragionamento a fortiori, con cui invita a osservare la nostra esperienza personale per riconoscere come, nonostante il male che ci abita, siamo sempre disponibili a esaudire i desideri di coloro che amiamo. Se ciò è vero per noi, lo sarà a maggior ragione per Colui che chiamiamo Padre e verso il quale non potremo che nutrire una fiducia senza limiti, sapendolo sempre disposto non solo a esaudire tutti i nostri desideri ma anche a offrirci il dono perfetto: lo Spirito Santo.