XVI domenica tempo ordinario Mt 13, 24-43

 
 

–  Il regno dei cieli annunciato in parabole  –

a cura di Mons. Alberto Albertazzi –

Gesù prova gusto a raccontare parabole e va avanti con fantasia inesauribile. Le parabole di questa domenica sono tutte mirate sul regno dei cieli e le sue leggi di funzionamento. Ogni racconto infatti inizia con lo stereotipo «il regno dei cieli è simile a …». Il termine di paragone è preso immancabilmente dal più o meno quotidiano. Non può essere diversamente, se la parabola vuole avere effetto immediato mandando un messaggio accessibile a tutti.
La radiografia del regno dei cieli che ci offrono le parabole odierne, cui mettiamo in coda anche quella della prossima domenica, è accurata: ci prospetta infatti, in una specie di chiasmo, la più o meno pacifica coesistenza fra bene e male nel regno dei cieli, e le sue misteriose leggi di valore, crescita e sviluppo. Il chiasmo è una figura retorica che pone estremi analoghi, fra i quali ricorrono intermezzi fra loro analoghi, ma diversi dagli estremi. Mi spiego facendo funzionare l’arzigogolo nel vangelo di questa e della prossima domenica. Estremi sono coesistenza di grano e zizzania questa domenica, di pesci buoni e cattivi la prossima. Intermedi sono le parabolette del granello di senapa e del pizzico di lievito, questa domenica; quelle del tesoro nascosto e della perla preziosa la prossima. Quindi fra coesistenza di bene e male si trovano inseriti i temi della crescita misteriosa del regno e del suo valore inestimabile.
La prima parabola – grano e zizzania – mette in campo l’argomento della compresenza di bene e male nel regno dei cieli. Se il regno dei cieli è il regno di Dio, stupisce la presenza del male in esso. Ricordiamo che Matteo, per scrupolo rabbinico verso il secondo comandamento, preferisce parlare di regno dei cieli. È un po’ come dire Gran Bretagna invece di Regno Unito! Il seminatore di zizzania dal padrone del campo è classificato come nemico. Quasi quasi preferirei chiamarlo dispettoso: mi pare più adatto per uno che si prende la briga di stare in piedi di notte per seminare zizzania, senza avere alcun vantaggio personale, ma solo per il gusto perverso di recare danno a chi gli è poco simpatico. Queste osservazioni ci fanno venire in mente il diavolo, grande assente vagolante tuttavia fra riga e riga, tirato poi in ballo da Gesù in sede di spiegazione della parabola dietro richiesta dei discepoli. Che vantaggio ricava il diavolo dal male di cui è supremo artefice? Ai ben pensanti il male dà fastidio e viene voglia di eliminarlo subito. Ma per fortuna Dio è paziente come il padrone del campo. Sarebbe una iattura per tutti se il male venisse sradicato immediatamente senza un minimo di selezione. Non si salverebbe nessuno, perché nessuno può dirsene esente e in qualche modo non responsabile. La tolleranza del male consente tempi di penitenza e ravvedimento. Ci sarà il momento in cui grano e zizzania saranno nettamente separati, come il bene dal male, oppure più realisticamente come i meno cattivi dai più cattivi. Parlare addirittura di buoni, se ci rendiamo conto di chi siamo e come siamo, mi sembra eccessivo. Ed è il giudizio finale, sfiorato allusivamente nel momento della mietitura, ma dichiarato palesemente in sede di spiegazione. Tutto ciò costituisce risposta a scalmanate domande perbenistiche del tipo: ma perché il Signore permette certe cose?
Alla chetichella, fra queste due parabole un po’ più corpulente, se ne inseriscono altre quattro minori: due sulla crescita misteriosa del regno dei cieli. Va avanti da solo, non credano quelli che vi operano di fare tutto loro, anche se Gesù li ha ufficialmente impegnati (cfr Mt 10,5-15). E la prossima domenica sarà la volta di due parabolette sulla preziosità di questo regno, per il quale vale la pena di rinunciare a tutto, come sancisce Gesù a conclusione dell’episodio del giovane ricco (cfr Mt 19,29).
Ho messo il carro davanti ai buoi tirando in ballo anche il vangelo del 30 luglio: non è colpa mia. Le parabole di Mt 13 sono tra loro talmente concatenate che non si possono trattare isolatamente. Mi dovrò arrabattare comunque a scrivere qualcosa.