Solennità di Maria SS.ma Madre di Dio Lc 2,16-21

 
 

– La maternità spirituale della Vergine  –

 

a cura di Mons. Alberto Albertazzi –

 

Questa solennità finalmente ha ottenuto il titolo che le compete. Le fonti classiche della liturgia romana la intitolavano scialbamente “ottava del Natale”, aggiungendovi talora ad Sanctam Mariam, da intendersi non come titolo liturgico ma come luogo della celebrazione. Tale nomenclatura è rimasta fino alla riforma liturgica del Vaticano II, la quale comprese che una festa di natività è festa anche per la puerpera. Così la ricorrenza del 1 gennaio divenne “Solennità di Maria Santissima Madre di Dio”, centralizzando le acquisizioni del Concilio di Efeso (431), che riconobbe a Maria tale prerogativa.
Fino al Vaticano II la maternità di Maria, che non è per lei qualità secondaria, ricorreva inopinatamente l’11 ottobre. Forse per il prevalere della devozione mariana centrata sul Rosario, rispetto all’assetto liturgico della maternità che avrebbe preferito una connessione col ciclo del Natale. Il vangelo di questa ricorrenza è sostanzialmente il medesimo della messa dell’aurora di Natale, spostato in avanti di un versetto: ciò comporta l’allontanamento degli angeli che hanno appena squillato «Gloria a Dio nell’alto dei cieli» e l’inclusione, non deliziosa, della circoncisione del Pupo, effettuata a termine di legge (Lev 12,3) l’ottavo giorno dalla nascita.

Questa micro-chirurgia pediatrica viene demolita come inutile da san Paolo nella lettera ai Romani (4,10-12), con arzigogoli di stampo rabbinico. La scena evangelica è quella tradizionale del presepio. I pastori accorrono senza indugio allertati dall’angelo a contemplare una deliziosa scena di famiglia d’altri tempi, di altra sensibilità, di altra cultura.  Senza gli odierni ordigni da sala-parto, ma il bimbo già adagiato in una mangiatoia.
A quei tempi, molto meno artificiali dei nostri, la natura era ancora ritenuta perfettamente in grado di fare il proprio mestiere, senza supporti Asl. I pastori, nel loro andirivieni, non tenevano la bocca chiusa ma «riferirono ciò che del bambino era stato detto loro». Non sappiamo che cosa. E i destinatari della notizia se ne stupivano.
Lo stupore è una delle caratteristiche psico-letterarie dell’infanzia di Gesù secondo Luca (cfr 1,21.63; 2,18.33): «Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore». Non so da dove salti fuori quel «da parte sua» ideato dalla traduzione Cei (1974 e 2008). Nel greco non esiste. Vi è soltanto una particella (de) equivalente nella circostanza al nostro «invece», che fa bene intendere, con opposizione diametrale, come Maria preferisca la meditazione all’affabulazione.
Il pregio di questo taglio evangelico è quello di dare risalto, nel passo ora riportato, alla maternità spirituale di Maria: un maternità nella quale il momento affettivo e interiorizzante prevale sul momento meramente generativo. Dopo questa delicatissima parentesi mariana, il brano rimbalza ancora all’esultanza dei pastori che se ne ritornano «glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto». Dopo tanta poesia abbiamo un tonfo narrativo sulla circoncisione di Gesù. Gli ebrei vi annettevano enorme importanza. Era il segno, peraltro occulto, dell’appartenenza a tutti gli effetti al popolo eletto. Quel segno carnale ereditato da Abramo (Gen 17,11 ss) è stato compiuto anche su Gesù.

E Il Missale Gothicum, autorevole testimone della primitiva liturgia gallicana, intitola la messa del primo gennaio Ordo Missae in circumcisione Domini Nostri Iesu Christi, privilegiando quindi la circostanza giudaica rispetto al momento, ben più universale e umanamente riconosciuto, della maternità. Lo stesso titolo si legge pure in un Messale della Chiesa di Aquileia del 1517.