Solennità dell’Ascensione Lc 24,46-53

 
 

Il Cielo entra nella carne e l’attira a sé –

a cura di Don Luciano Condina –

Con l’ascensione di Gesù al cielo possiamo contemplare il movimento di salita al trono preparato per lui nel cielo: il trono di Dio stesso, condiviso dal Padre e dall’Agnello immolato. Perché il punto di arrivo di Cristo non è su questa terra: Egli, infatti, si è incarnato per portare l’uomo alla sua pienezza. E neppure la nostra pienezza è di questa terra: lo staccarsi di Cristo dal mondo apre la prospettiva della nostra verità. La realtà è che noi stiamo qui in una fredda, confusa anticamera di un posto meraviglioso, di una bellezza infinita: ognuno di noi è troppo importante, imprescindibile per non essere legato all’eternità e alla bellezza. Gesù ha assunto la nostra carne per mostrarci il punto di arrivo, che è il Padre.

San Filippo Neri soleva dire in ogni occasione: «Preferisco il Paradiso»; significa che in ogni scelta si può mettere il cielo come meta e direzione. Siamo fatti “di cielo” e se scrutiamo nel nostro cuore – un «abisso» è definito nella Bibbia (Sal 73,7) – può essere colmato solo dal cielo.

Tante cose vanno relativizzate e dobbiamo sempre chiederci dove ciascuna ci porta veramente, dove ci conducono i sì e i no che pronunciamo nella vita. La spiritualità cristiana descrive fondamentalmente il viaggio dall’uomo terrestre all’uomo celeste, dall’uomo nato dalla carne all’uomo che nasce dallo Spirito. Noi compiamo questo movimento di ascensione ogni volta che ci apriamo al bene, ci opponiamo al vizio, alla debolezza, allo sconforto. Pensiamo alle mongolfiere: per cominciare ad alzarsi, devono eliminare la zavorra dei sacchi di sabbia e la combustione del gas rende l’aria all’interno della vela più leggera di quella all’esterno, per consentire il distacco da terra. Com’è diversa la prospettiva dall’alto! Così è per noi: Dio ci chiede di togliere i sacchi di sabbia, di essere alimentati dal fuoco dello Spirito Santo – con la preghiera, la carità e il nutrimento dei sacramenti – così che la nostra anima, unita allo Spirito, diventi più leggera di quella terrena e possa così ergersi per contemplare le vette nell’eternità cui siamo chiamati e che, intimamente, sogniamo come “nostalgia di qualcosa” che, da sempre, ci portiamo dentro: nostalgia del Padre, nostalgia di casa.

Non cerchiamo di comprendere tutto della vita: i conti torneranno solo in cielo. In quest’avventura terrena abbiamo la possibilità di imitare il Padre nelle sue due attività, spettanti solo a Lui ma che Egli ha voluto condividere con noi, suoi figli: l’essere creatore e redentore attraverso il Figlio. Queste sono le due vocazioni che riceviamo con il battesimo: essere co-creatori, generando nuove vite nel luogo sacro del matrimonio; essere co-redentori, portando avanti l’azione salvifica e redentrice di Cristo nel ministero ordinato o nella vita religiosa, professa o laica.
Contemplando il mistero dell’ascensione di Gesù nei misteri gloriosi, ci apriamo alla sua opera in noi, alla sua signoria. Se la nostra vita è fatta di rivendicazioni, che cosa ci può interessare che Cristo sia asceso al cielo e sia il Signore? Se, in fondo al nostro cuore, quel che resta è il desiderio di essere affermati, riconosciuti, amati, stimati nella vita, la preghiera ci scivolerà addosso perché cercheremo altri signori e altre potestà. Per la comunione con Cristo, che ha portato la carne nel cielo, il cielo entra nella carne e possiamo tirar fuori la nostra più grande bellezza. Seguire Cristo non è sfigurarsi, emaciarsi, rovinarsi, ma è perdere la vita piccola per rincorrere la vita grande, abbandonare l’infimo per acquisire il nobile.

La solennità dell’Ascensione è la festa della fiducia che Dio ha in noi, perché sa che possiamo compiere ciò che ci dà da fare.