Seconda domenica di Quaresima

 
 

a cura della Fraternità della Trasfigurazione

Il contesto geografico in cui si colloca il Vangelo di oggi è del tutto diverso rispetto a quello di domenica scorsa: là era il deserto, luogo aspro, isolato, arido, spazio propizio per la tentazione e la prova. Oggi, invece, vediamo Gesù condurre i tre discepoli in disparte su un alto monte, ambiente ideale per le rivelazioni di Dio. Qui Gesù “fu trasfigurato”. Con questa espressione non dobbiamo prima di tutto intendere un cambiamento avvenuto nella persona di Gesù, ma un lasciar trasparire la sua identità più vera e profonda.

La Chiesa d’oriente ci insegna che sono soprattutto gli occhi dei discepoli a cambiare, diventando capaci di percepire il mistero di quell’uomo che tanto li aveva affascinati da lasciare tutto per seguirlo. Alla visione si accompagna l’ascolto della voce del Padre che dice: “Questi è il Figlio mio, l’amato: in lui ho posto il mio compiacimento.

Ascoltatelo”. Se, come abbiamo affermato domenica scorsa, la Quaresima è il tempo in cui ritrovare la figliolanza perduta, scorgiamo qui alcune indicazioni importanti al fine di percorrere questo cammino.

Chiamando Gesù con il nome di Figlio, il Padre non solo ne rivela l’identità, ma aiuta anche a comprendere che cosa significhi essere figli. Il figlio, infatti, è colui la cui carne può manifestare, lasciar trasparire la luce di una interiorità che ha qualcosa di sacro, di trascendente.

Se la nostra carne può sentire il peso gravoso dell’essere creature, essa è anche chiamata a esprimere, come spesso accade ai volti dei santi, la luce del soffio divino presente in noi. Teresa d’Ávila utilizza un’immagine molto efficace per descrivere la bellezza dell’anima umana: “Possiamo considerare la nostra anima come un castello fatto di un solo diamante o di un tersissimo cristallo, nel quale vi siano molte mansioni”. E aggiunge: “No, non vi è nulla che possa paragonarsi alla grande bellezza di un’anima e alla sua immensa capacità”. Le parole di Teresa ci fanno riandare all’episodio della Trasfigurazione come a un mistero che riguarda non solo la persona di Gesù, il quale si lascia contemplare dai discepoli in tutta la sua divina bellezza, sapendo che ben presto saranno confrontati con la drammatica e sconcertante visione del suo volto e corpo sfigurati. Esso interpella pure noi, innanzitutto perché ci ricorda che quella luce è anche nostra: è la luce dello Spirito Santo che vive dentro di noi e desidera purificare, modellare, illuminare in noi pensieri, affetti, emozioni, azioni. La Trasfigurazione di Gesù è proprio questo: la manifestazione, persino in quanto è più materiale nella sua persona – il corpo e l’abito – dello Spirito Santo presente in lui. Ciò che in Gesù ha costituito il modo di esistenzadi ogni istante di vita e che eccezionalmente sul Tabor si è reso manifesto ai discepoli, per noi rappresenta invece un lungo e complesso cammino, spesso costellato da cadute, regressioni, insuccessi. Rimane, tuttavia, questa stupenda e commovente verità su cui si fonda la dignità di ogni creatura: lo Spirito Santo abita in noi e agisce, là dove non opponiamo resistenza, per renderci figli nel Figlio. Al fine di permettergli di compiere tale azione trasformante, il Vangelo di oggi ci offre una indicazione imprescindibile: esso invita a compiere il primo passo essenziale, che consiste nel prestare attenzione alle parole del Padre, aprendo il nostro cuore all’ascolto del Figlio.