Questuanti e seminatori di speranza

 
 

Sono molti i questuanti di speranza: sono giovani senza lavoro, non ancora stanchi di cercare; sono famiglie che devono fare i conti con i giorni per arrivare a fine mese; sono uomini e donne che tendono la mano alle persone che incrociano sul marciapiede della città; sono gestori di negozi ormai costretti a chiudere; sono ospiti dei nostri ospedali, condannati da una malattia che non perdona; sono anziani afferrati dall’angoscia della solitudine, che attendono o cercano non si sa chi. Molti questuanti dal volto triste che stanno sotto il giogo di una vita senza senso ci dicono, in definitiva, una sola cosa: oggi c’è crisi di speranza, non solo sociale, ma spirituale e culturale.

Per molta gente, oltre il guado c’è la disperazione, la violenza tanto enfatizzata dai media. Le patologie di una speranza debole sono molte: come la noia, l’evasione, lo sballo. Nella crisi della speranza torna sovente il moralismo, amico di un fatalismo dal volto triste.

Oppure, oltre il guado della crisi, per molti c’è la rivincita della speranza: si incontrano testimoni ancora capaci di riconciliare con la vita e con la storia. Due giganti sono passati davanti al nostro sguardo e hanno stupito il mondo: uno, il papa Benedetto XVI, è un commovente testimone dell’umiltà evangelica rinunciando all’esercizio attivo del ministero petrino per coltivare la speranza nel silenzio e nella preghiera; il secondo gigante, papa Francesco, ha dato un volto alla speranza restituendo all’umanità parole cadute in oblio, come la nostalgia di una visione francescana della vita; come l’amore per una Chiesa amica della povertà, della sobrietà, dell’essenzialità. La domenica delle palme, in piazza san Pietro, dando inizio alla settimana santa, il Papa venuto “dall’altro mondo” ha fatto un appello planetario ai giovani che, reincontrerà nel prossimo luglio a Rio de Janeiro: “Non fatevi rubare la speranza, quella che ci dà Gesù…Non siate mai uomini e donne tristi”.

Qualche volta Dio ci fa il dono di uomini e donne straordinari, capaci di restituire la dignità della buona notizia evangelica al mondo. Il più delle volte, invece, Dio chiama nel ruolo dei testimoni d’ogni età e cultura uomini e donne senza notizia, ma ricchi di sapienza spirituale per scrivere la storia, nel silenzio. Penso a credenti e a non credenti fedeli nel servizio, con il coraggio di una vita donata. Penso ai cristiani che hanno incontrato il Signore, sovente “cristiani anonimi”, con l’etichetta di atei, lontani dalla Chiesa, additati e giudicati. Guardando costoro torna una voglia di speranza per una società più umana.

Ma in questi giorni la comunità cristiana ritorna alle sorgenti della speranza. Questa, infatti, non è solo un vago desiderio di una società più giusta e più vivibile. La speranza non è neppure soltanto una virtù; essa ha un volto: Gesù, il Risorto. “Io sono la via, la verità e la vita” (Gv 14,6) Il percorso attraversa tutte le strade dell’umanità, soprattutto quelle che incrociano il mistero della sua passione e morte che segna il destino universale del mondo. E così, vita e morte diventano i tratti universali della speranza, perché portano alla vita nuova, alla sua pienezza. E’ Paolo a richiamare questo percorso sorprendente della speranza; l’apostolo indica il nuovo destino del discepolo: “ Se siamo morti con Cristo, crediamo che anche vivremo con Lui” (Rom 6,8) .
Per questo il nome della speranza è la Pasqua, è il Cristo vincitore della morte, il Signore risorto. Ancora per questo la Chiesa non celebra la Pasqua solo una volta all’anno, ma ogni domenica, per tornare alle sorgenti, per incoraggiare i seminatori della speranza, perché tutti siamo chiamati a farci carico della speranza degli altri, alla scuola dei testimoni che fanno notizia.
Buona Pasqua allora, davvero a tutti: Cristo è risorto per noi!

+ Padre Enrico arc.