quarta domenica di quaresima Gv 9,1-41

 
 

–  La luce degli occhi e della fede  –

a cura di Mons. Alberto Albertazzi – alberipazzi@gmail.com –

Nel vangelo di Giovanni i miracoli sono centellinati con parsimonia, ma narrati meticolosamente. Non troviamo i miracoli a raffica tipici di Marco (1,32-34). Si direbbe persino che il nostro evangelista si diverta a narrarli, come il caso di questa domenica alle prese col cieco nato, sul quale Gesù riceve un’interpellanza dai discepoli: «Chi ha peccato, lui o i suoi genitori, perché sia nato cieco?».

Domanda goffa. Se era nato cieco è ovvio che non poteva avere peccato lui: perché esistono il peccato veniale, il peccato mortale, ma non il peccato “fetale”! Anche se profeti dell’Antico Testamento (Ger 31,29; Ez 18,2) avevano affermato il principio della responsabilità personale, pare che questa dottrina abbia faticato a essere popolarmente recepita.
Gesù non fa caso all’improntitudine della domanda e interpreta altrimenti la cecità del nostro personaggio: «Né lui ha peccato né i suoi genitori, ma è perché in lui siano manifestate le opere di Dio». Decodificando: è nato cieco per farci planare un miracolo. E il miracolo si attiva con un collirio non propriamente da farmacia! Gesù sputa per terra (sic!), impasta un po’ di fango e glielo applica sugli occhi. Primo tempo.
Secondo tempo: «Va’ a lavarti nella piscina di Siloe». Se ci è andato con i suoi mezzi, senza essere accompagnato, vuol dire che è bastata quella divina saliva mescolata alla polvere per illuminarlo, come sembra evincersi pure da una frettolosa concatenazione verbale: «Quegli andò, si lavò e tornò che ci vedeva». Pare dunque che ci vedesse già nel viaggio di andata.  È un trionfo dei passati remoti a resa degli aoristi greci, denotanti l’istantaneità fulminea dell’azione. L’imperfetto «ci vedeva» è permanenza nel passato: la vista gli è restata! Il greco accelera la successione degli atti economizzando ancor più le parole. Alla lettera: «Andò, si lavò e tornò vedente».
A questo punto Gesù esce di scena, tanto che il miracolato non sa dire dove si sia cacciato. Si assiste quindi a un’indagine crescente attorno all’ex cieco. Prima da parte dei vicini e circostanti, dubbiosi che si trattasse proprio di lui e non di un sosia. L’indagato spiega e rispiega che cosa gli è successo. La vertenza viene portata al tribunale dei farisei, che vogliono vederci chiaro e spostano l’indagine dal miracolato all’autore del miracolo, che va a finire in contumacia nel registro degli indagati.
La tradizionale ottusità farisaica coglie subito lo sgarro sul sabato, giorno in cui avvenne il miracolo. Se il benefattore si prende libertà così irriverenti non può venire da Dio: sputare, impastare e spalmare sono azioni di una faticosità incompatibile col riposo sabbatico. L’ex cieco si lascia trascinare in risposta da logica e ovvietà: «Come può un peccatore compiere segni di questo genere?».

Apriamo una parentesi: in Giovanni i miracoli sono costantemente chiamati segni, in quanto per l’appunto segnaletici della sovrumanità di chi li compie. Chiusa parentesi. Dopo ancora un po’ di divertito battibecco nel quale l’ex cieco si cimenta con ironia, viene alla fine buttato fuori (da dove?) dai farisei privi di senso dell’umorismo.
A questo punto rientra in scena Gesù, che si presenta al miracolato con una domanda: «Credi tu nel Figlio dell’uomo?». Non poteva far che chiedergli: credi tu nel Figlio di Dio, giocando ormai a carte scoperte? Ma Gesù gioca ancora in economia, lesinando le sue prerogative. Sappiamo che la dizione «figlio dell’uomo», coniata da Ezechiele (3,1 e passim) per dire semplicemente uomo, prende a grandeggiare in una visione di Daniele (7,13), ove un figlio di uomo si configura come dignitario della corte celeste, respirante atmosfera divina.

Siamo dunque a un passo dal Figlio di Dio e si comincia a cogliere qualche rudimento del congegno trinitario. E il miracolato rimanda: «E chi è, Signore, perché io creda in lui?». La fede del personaggio è sempre prudente e non vuole spericolarsi. La risposta di Gesù è schiacciante: «Lo hai visto: è colui che parla con te». A questo punto l’ex cieco non ha più remore e pronuncia di slancio la sua professione di fede siglata di prostrazione denotante consapevolezza divina: «Credo, Signore». Miracolato due volte: ha ottenuto la luce degli occhi e la luce della fede.