Presentazione del Signore Lc 2,22-40

 
 

Facciamo fruttificare i doni di Dio –

a cura di Don Luciano Condina –

Questa domenica celebriamo la festa della presentazione del Signore, ossia la sua consacrazione come primogenito. In virtù di questa ricorrenza si celebra anche la festa della vita consacrata, in cui si ricordano la bellezza e la pienezza della chiamata al dono totale della propria esistenza donata al Signore, affinché possa compiere la sua opera nelle opere del consacrato.

Le primizie appartengono a Dio e l’offerta di due colombi o due tortore – come si legge nel testo – indicava simbolicamente il riscatto del primogenito che in quanto tale, in quanto primizia, era sacro al Signore, quindi di sua proprietà. È bello cogliere il grande amore intriso in quei riti, nel rapporto di fiducia e oblazione reciproca tra Dio e i suoi figli.

È interessante ricordare che il dissidio nato tra Caino e Abele è proprio per una questione di primizie offerte da quest’ultimo – «primogeniti del suo gregge e il loro grasso» (Gen 4,4) – a differenza del fratello, che dona semplicemente «frutti del suolo» (Gen 4,3). Significa che esiste una profonda differenza tra le primizie e il resto; banalmente, lo si può osservare anche al supermercato, quando appaiono sugli scaffali le primizie di stagione dal costo spesso esorbitante.

Considerare il primogenito sacro al Signore significa che le cose più preziose si danno a chi si ama di più ed entrano a far parte dei rapporti più belli: a Dio, nostro Padre, creatore provvidente, non possiamo che offrire tutto ciò che ci è più caro; così come allo sposo o alla sposa viene donata la parte intima e profonda del proprio essere.

In questo passo evangelico troviamo il celeberrimo Cantico di Simeone, fatto proprio dalla Chiesa nella preghiera di compieta della liturgia delle ore: «Ora lascia, o Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola; perché i miei occhi han visto la tua salvezza, preparata da te davanti a tutti i popoli, luce per illuminare le genti e gloria del tuo popolo Israele» (Lc 2,29-32).

È un’invocazione piena di felicità, di gioia, di luminosità; ma poco dopo, improvvisament l’atmosfera e lo stato d’animo cambiano nel momento in cui Simeone, dopo aver benedetto Maria e Giuseppe, profetizza alla madre di Gesù: «A te una spada trafiggerà l’anima, affinché siano svelati i pensieri di molti cuori» (Lc 2,35). Come nella prima lettura di Malachia, che da un’atmosfera di gioia e speranza si passa a un clima cupo constatando che l’angelo dell’alleanza, tanto sospirato, in realtà porta durezza per la purificazione da operare, anche qui avviene la stessa cosa.

Cosa significa? Che le cose di Dio sono belle proprio perché hanno questo aspetto: bellezza e grandezza dei suoi doni impongono un discrimine nella nostra esistenza; accogliere i doni di Dio obbliga al discernimento, a separare il buono dal cattivo, e la spada – che nella Scrittura simboleggia la Parola di Dio – sarà il mezzo attraverso il quale attuare la separazione necessaria per far fruttificare i doni di Dio.

A Maria una spada trafiggerà l’anima e sarà parte della trafittura del cuore di Gesù, così come quando Pietro, negli Atti degli apostoli, annunzierà che il Signore Gesù Cristo è risorto e gli uomini si sentiranno trafiggere il cuore, perché percepiranno il loro errore. La trafittura del nostro cuore sarà il dono della consacrazione a Dio ed Egli ci libererà finalmente dai pesi inutili, che ci impediscono di puntare al bersaglio della vita divina, nella verità che rende liberi dal carico della colpa.