Pentecoste 2021

 
 

don Luciano Condina commenta il Vangelo Gv 15,26-27;16,12-15

La discesa dello Spirito Santo sulla Vergine e gli apostoli, narrata nella prima lettura e oggetto del terzo mistero glorioso del rosario, è il cuore della festa di Pentecoste. In questo istante comincia attivamente la missione della Chiesa cattolica che è tale perché guidata, illuminata e sostenuta dallo Spirito di Dio.

Il Paràclito – “colui che sta appresso” dal greco, advocatus in latino – era l’avvocato difensore che suggeriva all’imputato cosa dire durante un processo. Nell’antichità l’accusato difendeva se stesso ed era il solo a poter parlare; i più ricchi potevano permettersi un consigliere – il paràclito, appunto – che suggeriva cosa fosse meglio dire. L’avvocato è qualcuno che, in un processo, ci difende anche se siamo colpevoli, che ci giustifica e cerca in ogni modo di ridurre la pena in caso di condanna certa. Così è il Paràclito di cui parla Gesù agli apostoli; inoltre non fa le cose per noi singolarmente, ma ci illumina su come farle secondo la volontà del Padre.

«È Spirito della verità» (Gv 15,26), ossia ci mostra le cose per come sono. Una chiave esistenziale importante a cui ci guida lo Spirito Santo risiede nell’arrivare a percepire correttamente chi è Dio e chi siamo noi per lui, cioè quanto immenso sia il suo amore per noi.

Tanti problemi nella vita di ciascuno sorgono dalla cecità esistenziale, dalle interpretazioni distorte della realtà. E non cogliere il senso delle cose porta ad atti fuori mira. I sette doni dello Spirito Santo – timor di Dio, scienza, pietà, consiglio, intelletto, fortezza, sapienza – ci permettono di codificare correttamente la realtà, per quanto dolorosa possa essere, e leggerla in modo sapiente: come una scala i cui gradini conducono felicemente, seppur faticosamente, al cielo.

Lo Spirito Santo fa leggere la vita non come realizzazione personale – raggiunta da pochi – ma come missione, perché la realtà dell’esistenza è nella missione insita in essa. La nostra situazione, la nostra storia, il nostro corpo, i nostri limiti, le nostre disabilità, i nostri pregi alla luce dello Spirito Santo diventano ingredienti saggiamente dosati per la missione insita nell’avventura terrena. Allora ogni vita, alla luce di questa lettura, diventa grande e bella così com’è. Quando si fa propria questa visione, questa missione, cessa la paura e si entra in un’esistenza in cui siamo in grado di parlare la lingua compresa da tutti: quella dell’amore.

Lo Spirito Santo «darà testimonianza di me» (15,26) afferma Gesù; dunque non parla da se stesso. Spesso assolutizziamo la nostra percezione, la nostra visione e, sulla base di questa assolutizzazione, partiamo in quarta, talvolta sbattendo contro un muro. Impariamo dallo Spirito Santo che non è bene mettersi in cammino da sé, ma da un punto di riferimento più solido: nostro Signore Gesù Cristo.

Diceva Padre Pio che il passato è la misericordia, il presente è la grazia, il futuro è la Provvidenza: lo Spirito Santo ci fa parlare così della nostra storia. Se passato, presente e futuro prendono questo colore, lo Spirito Santo ci sta salvando e iniziamo a vivere la vita di Cristo. Tutto allora è catalizzato dall’opera di Dio: facciamo pace con il  passato perché crediamo nella misericordia, scopriamo l’importanza e la potenzialità della grazia di ogni istante, camminiamo verso la luce e non verso il buio.

In questa domenica di Pentecoste chiediamo allo Spirito Santo di perdere la nostra autoreferenzialità, per imparare da lui ad avere Dio nel cuore, Dio al centro; Egli solo può farlo in noi, perché da soli non abbiamo la forza di portare questo peso.