OTTIMISMO FUNEBRE l’angolo di don Alberto

 
 

Stiamo vivendo una stagione ecclesiale di misericordia e ciò non spiace. La misericordia è popolarmente identificata con la manica larga e nei funerali la manica si è allargata di molto. Neppure questo spiace.

Mi spiego. Una volta convivenze, irregolarità matrimoniali e simili, vietavano all’interessato il funerale religioso e veniva spedito direttamente la cimitero al suono della marcia funebre di Chopin. Oggi non è più così, da ben prima che fosse indetto il giubileo della misericordia. Infondo perché negare il funerale religioso a chi comunque è stato battezzato, anche se successivamente ha avuto qualche “infortunio” coniugale? Capita a molti. Forse nel caso di derive ideologiche più o meno dichiarate, converrebbe accertare il gradimento del funerale religioso. Però sono accertamenti che bisogna fare prima dell’evento, perché è risaputo che i morti non parlano. Ma parlare a un vivente del suo funerale è sempre un po’ imbarazzante. Dovrebbe provvedere il morituro religiosamente neutro se non persino ostile, a lasciar detto nel testamento qualcosa al riguardo. In mancanza di precise indicazioni in materia si procede al funerale a suon di rosario itinerante e con passaggio in chiesa per la Messa funebre, e Dio gliela mandi buona. Ma qui comincia il bello.

Si sa che non tutti quelli che muoiono sono san Luigi Gonzaga o santa Teresa. Eppure i testi della liturgia funebre sono esageratamente garantisti di pieno successo oltretombale, ossia di approdo in paradiso immediato, magari attribuendo gratuite benemerenze al compianto estinto. Fornisco qualche assaggio.

Dio Padre misericordioso …
concedi al nostro fratello,
che si è addormentato in Cristo …

Si può dire addormentato in Cristo chi magari ha bestemmiato fino al giorno prima? Si può sostituire questa preghiera con la seguente, ma si va di male in peggio:

O Dio …
accogli nella tua casa il nostro fratello …
e poiché in te ha sempre sperato e creduto …

Si può dire che abbia sempre sperato e creduto in Dio chi non è più andato a Messa dal giorno del matrimonio? C’è, se Dio vuole, una terza preghiera meno laudativa, accessibile a defunti cui non si possono attribuire “quarti di santità”:

O Dio …
concedi al nostro fratello
di entrare in paradiso insieme ai tuoi eletti …

Questa preghiera tace pudicamente la religiosità del de cuius, limitandosi a chiedere ciò che è più importante, ossia la sua penetrazione in paradiso che Dio, se ha voglia, gli può concedere. Resta ovvio che tutte e tre le preghiere, qui riportate in parte, sono proponibili per defunti la cui religiosità è manifestamente fuori discussione. E grazie a Dio non ne mancano.

Altre ingenuità garantiste troviamo nei testi di Ultima raccomandazione e commiato. Sentiamo:

Potremo infatti godere ancora della presenza del nostro fratello e della sua amicizia.

E chi lo dice? Il nostro fratello non può andare all’inferno o non possiamo andarci noi? E se ci andiamo tutti, in nessun caso si godrà perché l’inferno non è propriamente un albergo a cinque stelle. Trovo più delicata e rispettosa dei disegni di Dio una sfumatura di speranza, dicendo: “Speriamo infatti di godere ancora …”. Nella speranza c’è l’auspicio, non la certezza che in queste cose non possiamo mai avere. Non c’è nulla di più spregiudicato che gabbare per certo l’incerto. Inoltre, se si è ammessi alla presenza di Dio, avendo ben altro di cui godere, non saprei quanto potrebbe allietarci la presenza del nostro fratello.

Le stesse osservazioni, rincarate, si possono fare sul testo alternativo:

un giorno abbracceremo di nuovo il nostro fratello nella gioia dell’amicizia.

Questo lo trovo ancora più infelice perché, quell’abbraccio, non fa che riciclare nell’orizzonte dell’eternità usanze tipiche di questo mondo.

Un capolavoro di improntitudine è la conclusione della preghiera terminale del rito delle esequie:

… e potremo vivere sempre con te [Dio] e con il nostro fratello.

Questa messa in parallelo fra Dio e il nostro fratello, la trovo addirittura più tapina che infelice.

Tutte le volte che ai funerali mi tocca leggere questi testi mi trovo in serio imbarazzo e cerco di adattarli, smussando le garanzie. Garantire quello che non possiamo garantire è un po’ prendere Dio sotto gamba. Peraltro in testa al rito di ultima raccomandazione e di commiato c’è scritto che i testi si possono pronunciare “con queste parole o altre simili”. Quindi nessuna violazione dell’etichetta liturgica.

Quanto fin qui annotato può sembrare in aperta contraddizione con ciò ho detto e più volte e forse anche scritto: ossia che Dio concede a tutti la grazia del ravvedimento finale. Continuo a essere di questo parere. Però è solo un’opinione mia che mi sembra avere qualche conferma del Nuovo Testamento (cfr Lc 23,43; Gv 6,39; 1 Tim 2,4). Ma non ne sono certo, quindi conviene essere prudenti nel pronunciare certi testi funebri, che mettono a mio parere il carro davanti ai buoi. In ogni caso è sempre da mettere in conto un soggiorno più o meno prolungato in purgatorio.